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Il deepfake: il sottile confine fra fantasia, gioco e reato

Ormai la tecnologia e i social media sono diventati parte integrante della nostra vita quotidiana. Non mancano i rischi derivanti dalle nuove frontiere tecnologiche che ci vede alle prese con il deepfake.

Non possiamo stare senza uno smartphone, un tablet o un pc, pubblichiamo tutto, come se una forza invisibile ci spingesse a condividere ogni cosa.

Tuttavia, chi delinque trova sempre il modo di “inventarsi” nuovi modi per violare la nostra privacy e la nostra immagine.

E la legge deve stare al passo, o si rischia la totale compromissione della libertà di espressione (forse fin troppa) che i social e la tecnologia ad essi connessa ci ha permesso di coltivare.

Deepfake e la nuova frontiera del reato

Lo sviluppo delle nuove tecnologie e il loro utilizzo anche per la commissione di reati impone di prendere in considerazione ipotesi nuove, talvolta non ancora, del tutto o in parte, disciplinate dal legislatore. E questo si rende ancor più necessario quando la diffusione di certe condotte ha un’escalation assai preoccupante, come ad esempio il cosiddetto deepfake.

L’Enciclopedia Treccani lo definisce così: “Filmato che presenta immagini corporee e facciali catturate in Internet, rielaborate e adattate a un contesto diverso da quello originario tramite un sofisticato algoritmo.

I fake creati con questa app sono già stati diffusi come veri su altri siti; ad esempio, un deepfake di Emma Watson che si fa una doccia insieme a un’altra ragazza è stato ricaricato su CelebJihad (un sito porno che raccoglie foto e video di celebrità e che posta regolarmente immagini sottratte alle celebrità stesse), così come una scena hard di una pornostar a cui è stata messo il volto di Daisy Ridley de “Gli ultimi jedi”.

Il deepfake è stato definito “l’ultima crisi morale di internet”, ed Eugenio Spagnuolo (Focus.it, 26 luglio 2018, Tecnologia) ne ha offerto una definizione tecnologica: “Un nuovo tipo di video con face-swap (scambi di viso) realistici”: vale a dire elaborazioni basate su di un software che cerca un “terreno comune” tra due volti per incollare poi l’uno sull’altro, in modo dinamico.

Una definizione letterale di deepfake

Il termine è stato coniato da un utente di Reddit nel 2017, e nasce dalla combinazione tra la parola fake (falso) e “deep learning”, una particolare tecnologia di intelligenza artificiale. In altri termini, si tratta di una tecnica per la sintesi dell’immagine umana basata proprio sull’intelligenza artificiale, usata per combinare e sovrapporre immagini o video esistenti ed appartenenti a soggetti determinati, con altre immagini o video originali.

Il meccanismo, quindi, è simile a quello utilizzato da alcune applicazioni per smartphone che consentono di modificare i volti delle persone. Questa pratica porta come risultato la creazione di foto e video in cui i visi e i movimenti delle persone sono interamente simulati al computer, creando contenuti profondamente realistici, al punto da rendere molto difficile distinguere i falsi dai veri.

Il deepfake nell’ordinamento giuridico italiano

Fino a questo punto sembra essere tutto chiaro. La difficoltà arriva nel momento in cui si cerca di dare un contorno giuridico alla fattispecie così da ricomprenderla nell’ordinamento al fine di sanzionare il comportamento quando adottato per fini illeciti, sia sul profilo civile che su quello penale.

In un documento informativo pubblicato dal Garante privacy nel Dicembre del 2020, il deepfake viene definito come una forma particolarmente grave di furto d’identità.

Tuttavia, l’attuale Codice penale non prevede una specifica norma incriminatrice dedicata agli illeciti commessi mediante l’intelligenza artificiale, nondimeno si può affermare, seppure con una certa cautela, che, nello specifico, chi si rende autore di un reato di questo genere potrebbe essere accusato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.), e di frode informatica (art. 640ter, comma III, c.p.).

Eccole nel dettaglio.

La sostituzione di persona: cosa accade nel concreto?

Si ha sostituzione di persona quando un soggetto induce in errore un’altra persona e a questa si sostituisce illegittimamente.

Oppure può attribuirsi un falso nome o un falso stato, ovvero ancora una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici.

Il vantaggio per l’autore e il danno per la vittima non devono avere necessariamente un carattere economico, né perseguire scopi illeciti.

La giurisprudenza ha recentemente ammesso che il reato possa pacificamente commettersi a mezzo internet, attribuendosi falsamente le generalità di un altro soggetto, inducendo in errore gli altri fruitori della rete.

È considerata punibile anche la condotta di chi, utilizzando i dati ed il nome altrui, crei un falso profilo sui social network, usufruendo dei servizi offerti, procurandosi i vantaggi derivanti dall’attribuzione di una diversa identità, anche semplicemente l’intrattenimento di rapporti con altre persone ed il soddisfacimento della propria vanità, e ledendo l’immagine della persona offesa.

Anche lo pseudonimo trova tutela penale se oggetto di usurpazione.

La frode informatica: come si attua

Secondo il codice penale chiunque procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno “alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico” commette il reato di frode informatica.

Il comma III dell’art, 640 c.p., ed è quello che qui maggiormente interessa, stabilisce una pena maggiore, in quanto prevede la reclusione da tre a sei anni per chiunque si renda responsabile di frode informatica con furto o indebito utilizzo dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti. Si tratta cioè, in altri termini, del c.d. furto d’identità digitale che, ad oggi, risulta essere la disposizione che più si avvicina all’uso illecito del deepfake.

Il “porno deepfake”: come nasce e si sviluppa?

Tutto ha inizio alla fine del 2017, quando un utente sotto lo pseudonimo di “Deepfakes” pubblica su Reddit alcuni video porno realizzati rielaborando, tramite         un complesso algoritmo, le immagini presenti sul web di alcuni personaggi famosi. Di lì a poco, alcune celebri attrici hollywoodiane, fra cui Daisy Ridley, Gal Gadot ed Emma Watson, scoprono che i loro volti sono stati sovrapposti (c.d. face swapping) ai corpi dei protagonisti di video erotici che vengono rapidamente diffusi sul web.

Nel 2018 i video vengono bannati da Reddit, ma nel frattempo milioni di user iniziano a sfruttare il software gratuito per creare e diffondere rapidamente nuovi contenuti di porno deepfake anche su altri siti.

Il caso DeepNude e l’intervento del Garante della Privacy contro Telegram

La situazione peggiora nel Giugno 2019, quando viene lanciata un’app chiamata Deep Nude che permette di manipolare e “spogliare” artificialmente le figure femminili (l’app sembra funzionare solo con queste), trasformandole in foto di nudo adattate alla corporatura del soggetto, con un risultato finale davvero realistico.

L’app viene scaricata e utilizzata da circa 95.000 persone, così il creatore è costretto a chiuderla dopo pochi giorni “per motivi etici” e a vendere la licenza.

Nonostante ciò, il codice sorgente del software rimane disponibile sulle maggiori repository, così a qualcuno viene l’idea di rendere disponibile lo stesso strumento anche su Telegram, dove le foto di donne vengono “denudate” attraverso dei sistemi automatizzati programmati per offrire dei servizi e per interagire nelle chat con gli utenti reali.

Chiunque entri in una chat con il BOT Deep Nude su Telegram, pertanto, può ottenere con estrema facilità foto di nudi realistici di qualsiasi donna e diffonderle liberamente.  Da ciò deriva la recente decisione del Garante della Privacy, seriamente preoccupato per i potenziali effetti lesivi del software e per la sua pericolosa diffusione, di intervenire a tutela della riservatezza delle vittime aprendo un’istruttoria nei confronti di Telegram, “considerato anche il rischio che tali immagini vengano usate a fini estorsivi o di revenge porn, e tenuto conto dei danni irreparabili a cui potrebbe portare una incontrollata circolazione delle immagini”, come si legge nel comunicato stampa del 23 ottobre 2020.

Revenge porn e deepfake: l’ultima frontiera del reato cibernetico?

È importante capire se e come queste condotte possano entrare in contatto per “creare” un’unica condotta lesiva.

La risposta al quesito risiede ancora nei neologismi coniati per l’adattamento del diritto penale alle nuove tecnologie: si tratta dei termini deepnude e porno deepfake, consistenti nell’utilizzo del deepfake per creare finti contenuti pornografici. In altri termini, utilizzando la stessa tecnologia del deepfake si sovrappone l’immagine di una persona su una fotografia o un video sessualmente espliciti, così che la vittima si trova ad essere rappresentata durante un atto sessuale mai avvenuto, in situazioni compromettenti mai verificatesi, o con presunti amanti mai avuti. Addirittura, è possibile partire dall’immagine della vittima vestita per poi “spogliarla” digitalmente, ricreando cioè quello che potrebbe essere il suo corpo in nudità.

E i minori? Quale tutela?

Secondo il codice penale (art. 600quater, comma I, c.p. che disciplina il reato di pornografia virtuale), si considerano integrati i reati di pornografia minorile (art. 600ter c.p.) e di detenzione di materiale pornografico (art. 600quater c.p.) anche quando le immagini sono virtuali, cioè “realizzate con tecniche di elaborazione grafica non associate in tutto o in parte a situazioni reali, la cui qualità di rappresentazione fa apparire come vere situazioni non reali”.

La legge al passo con le nuove tecnologie

Una delle particolarità del diritto penale risiede nella possibilità di incontrare molteplici combinazioni date dalla commissione di determinate condotte unitamente ad altre, entrambe idonee ad integrare sia due fattispecie di reato distinte, sia un’unica fattispecie penale di maggiore gravità. Si pensi, a titolo esemplificativo, ad  ipotesi come il furto con scasso, ossia la sottrazione di beni altrui mediante una violazione di domicilio.

Quando si tratta di nuove tecnologie, il compito del legislatore e dei professionisti del diritto in generale rischia di diventare ancor più complesso. Soprattutto quando le ripercussioni di certe attività sull’opinione pubblica sono così forti come nel caso del porno deepfake, e la necessità di intervenire si fa urgente. Quelle attività illecite che erano iniziate come strumento per prendere in giro qualche politico o personaggio famoso, oggi colpiscono anche persone comuni con contraccolpi psicologici e sociali enormi. In effetti, diventa sempre più difficile proteggere i giovani (ma non solo) dai pericoli del web.

Qui risiede, in conclusione, l’esigenza di intervenire rapidamente. Non solo, come sempre, con un incremento degli sforzi per una vera educazione all’uso della tecnologia senza nuocere agli altri, ma anche a livello normativo, partendo, come possibile primo passo, da un’integrazione dell’art. 612ter c.p. sul revenge porn con la stessa logica che ha ispirato l’art. 600quater 1 c.p. in materia di pedopornografia, nell’ottica di una tutela più adeguata a prevenire e a contrastare il fenomeno del porno deepfake, potendo quindi sanzionare espressamente anche la diffusione di finti    contenuti pornografici creati ad hoc mediante tecnologie di intelligenza artificiale.

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