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La teoria del delinquente nato: Cesare Lombroso e l’antropologia criminale

L’antropologia criminale è una disciplina che studia l’individuo criminale nelle sue caratteristiche biologiche e psicologiche. L’approccio bioantropologico nasce dall’insieme delle teorie che pongono l’attenzione sull’influenza dell’ambiente fisico sulla criminalità e delle teorie antropologiche, ereditarie e costituzionalistiche sviluppate successivamente agli studi di Lombroso.

Le teorie bioantropologiche iniziano a diffondersi con il superamento delle dottrine elaborate dalla Scuola Classica e con il diffondersi delle scienze deterministiche e rappresentano un primo tentativo di spiegare, dal punto di vista scientifico, la genesi del crimine e i fattori che spingono il soggetto a porre in atto un agito criminoso.

Secondo questo approccio, la spiegazione del comportamento umano non può tralasciare la dimensione fisiologica, biologica, antropologica e neurologica degli individui. È alla fine del 1800 che si pone l’attenzione sull’individuo, cercando le cause del crimine e dei comportamenti anomali con una domanda ricorrente: devianti si nasce o si diventa?

Cesare Lombroso, precursore della scuola positiva, ha tentato per primo di rivelare una risposta empirica sulla genesi dei comportamenti devianti. Nell’opera “L’uomo delinquente” del 1876 registrò alcune osservazioni sistematiche condotte attraverso misurazioni “antropometriche” su diversi soggetti. Operò in particolar modo sui cadaveri dei carcerati e ritenne possibile individuare elementi specifici della personalità del criminale.  Secondo i suoi studi, i delinquenti si differenziavano per la presenza di anomalie fisiche di natura atavica.

Lombroso, ha quindi elaborato la teoria del delinquente nato, secondo la quale i criminali erano riconoscibili per anomalie somatiche o costituzionali, tipiche del delinquente. Questa teoria focalizza quindi la genesi della criminalità su fattori individuali innati.

Secondo gli studi compiuti, i segni inequivocabili dello stato atavico o degenerativo tipico del delinquente erano rappresentate dalle stimmate o stigmate; malformazioni o anomalie dello scheletro, del cranio e del viso (come orecchie grandi, fronte alta, zigomi sporgenti, naso storto, sopracciglia folte, alto tasso di pigmentazione della pelle); assenza di rimorso; mancanza di moralità; uso di espressioni gergali; presenza di tatuaggi; crudeltà; vanità; precocità nel piacere dei sensi; epilessia (malattia, introdotta nell’ultima stesura).

Nella prima elaborazione della sua teoria, Lombroso arrivò a stimare che il 70% dei criminali rientrava nella categoria del delinquente nato, venendo aspramente criticato per questa affermazione, in quanto la teoria non prendeva in considerazione fattori psicologici e sociali e utilizzava un campione limitato.

Nelle stesure successive limitò al 35% i criminali appartenenti alla categoria del delinquente nato, erano tali soltanto coloro che riportavano cinque stimmate e non una sola.

A questa categoria ne aggiunse altre due, quella del delinquente folle e del delinquente occasionale. Il primo rispecchiava la visione secondo cui il delitto era qualcosa di patologico e si differenziava dal delinquente nato solo perché la malattia mentale dava luogo ad una diversa modalità di ideazione ed esecuzione del delitto. Il secondo invece era un uomo normale che nel commettere il reato era stato influenzato dall’ambiente e dalle circostanze. Con questa ultima categoria del delinquente occasionale Lombroso introduce nella sua teoria la variabile socio-ambientale, attenuando l’etichetta di teoria deterministica che gli fu inizialmente assegnata, ma i fattori individuali innati erano sempre preminenti.

Nonostante le critiche, poi smentite dalle statistiche criminali, il modello lombrosiano ebbe grande successo, in particolar modo ha influito sullo sviluppo della criminologia, non solo italiana ma anche europea.

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