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La messa alla prova nel processo minorile: quando prevenire è meglio che curare

In molti casi l’autore del reato è un minore. Se si vuole rieducare alla legalità la pena detentiva potrebbe essere una soluzione inutile, non portando a una socializzazione del reo e, anzi, potrebbe essere dannosa per i fenomeni di stigmatizzazione e di etichettamento che comporta.

Processo minorile: la sospensione con messa alla prova

La sospensione del processo con messa alla prova (art. 28 D.P.R. 448/88) rappresenta un’innovazione nel processo penale minorile, in quanto tutte le ipotesi di probation, applicate anche in altri Paesi, suppongono la pronuncia di una sentenza di condanna.

Infatti, l’art.28 D.P.R.448/88 può essere applicato sia in sede di udienza preliminare che di dibattimento.

La giustizia riparativa, di cui la MAP è una delle applicazioni pratiche, ha come oggetto principale la posizione della vittima e i danni provocati ad essa in quanto conseguenza del reato, avendo come obiettivo la conciliazione tra vittima e autore di reato e la riparazione delle conseguenze: l’autore, sia esso indagato o imputato, non è più soggetto passivo destinatario di una sanzione statale, ma diventa “soggetto attivo” a cui è chiesto di rimediare agli errori commessi ed ai danni procurati dalla sua condotta criminosa.

La misura della sospensione del processo con messa alla prova trae ispirazione dal probation system anglosassone. Tuttavia, a differenza di quello, la MAP italiana non costituisce una misura alternativa alla pena, quindi posteriore alla sentenza, ma interviene nel corso del processo penale.

Quindi, il modello italiano costituisce più esattamente una probation processuale dal momento che interviene nel corso del processo, comportandone la sospensione per un periodo predeterminato, allo scopo di consentire al giudice di valutare la personalità del minorenne all’esito della prova (art. 28, comma 1, d.P.R. 448/88). In tal modo lo Stato rinuncia alla sua pretesa punitiva, chiedendo in cambio non solo di astenersi, in futuro, dalla commissione di altri reati, ma anche l’impegno ad aderire ad un programma di risocializzazione e rieducazione.

Il funzionamento della probation minorile

Il processo viene sospeso e il minore affidato ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia che, anche in collaborazione con i servizi socioassistenziali degli enti locali, svolgono nei suoi confronti attività di osservazione, sostegno e controllo.

L’applicabilità della misura non è compromessa né dall’eventuale esistenza di precedenti giudiziari e penali né da precedenti applicazioni né dalla tipologia di reato.

Il Giudice basa la sua decisione sugli elementi acquisiti attraverso l’indagine di personalità (art. 9 del D.P.R. 448/88) che evidenzia le caratteristiche che inducono a ritenere possibile un recupero sociale, attraverso la mobilitazione delle risorse personali e ambientali.

Sulla base di queste i servizi sociali elaborano il progetto di messa alla prova, che deve necessariamente essere accettato e condiviso dal minore che può avere i contenuti più disparati: si può trattare di prescrizioni di fare o di non fare, principalmente che riguardano lo studio o il lavoro, ma anche lo sport, le attività sociali o di volontariato. Inoltre, è previsto anche che il giudice possa impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa (art. 28, comma 2 d.P.R. 448/88).

La valutazione degli agiti

In una personalità in crescita, quale è quella del minorenne, il singolo atto trasgressivo non può essere considerato indicativo di una scelta di vita deviante.

La messa alla prova, quindi, non interrompe i processi di crescita, ma tende al recupero sociale considerato più probabile in un contesto sociale e familiare in luogo della detenzione che comporterebbe l’isolamento del minore.

A quali reati si può applicare?

La messa alla prova si può applicare a qualsiasi tipologia di reato, anche per quelli particolarmente gravi e di rilevante allarme sociale e può avere una durata massima di tre anni.

Il contenuto dell’ordinanza

L’ordinanza che dispone la sospensione del processo, esattamente come nel caso della MAP degli adulti, può anche contenere prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato, promuovere la conciliazione con la persona offesa dal reato. La possibilità di prescrizioni relative alla riparazione-conciliazione induce il minore a prendere coscienza del significato del reato e promuove l’avvio del processo di responsabilizzazione.

Cosa accade in caso di esito positivo o negativo della prova?

A norma dell’art. 29 d.P.R. 448/88, l’esito positivo della messa alla prova comporta la misura premiale dell’estinzione del reato pronunciata con sentenza di non luogo a procedere, se intervenuta in corso di udienza preliminare ovvero di non doversi procedere, nel caso in cui la sentenza intervenga a conclusione del dibattimento.

Nel caso la messa alla prova, invece, non vada a buon fine, il procedimento penale prosegue laddove si era interrotto (art.29 DPR 448/88).

Come e quando si valuta l’esito della messa alla prova?

La valutazione avviene all’udienza di verifica fissata appositamente dal giudice.

Si tratta di udienza preliminare o dibattimentale, secondo la fase nella quale il processo era stato sospeso, che si svolge nel rispetto dei principi del contraddittorio e della difesa ed in presenza delle parti interessate: pubblico ministero, imputato, genitori o esercenti la potestà genitoriale, difensore, servizi minorili, persona offesa dal reato.

In questa fase viene valutata l’evoluzione della personalità del minorenne in senso dinamico, orientando quindi la decisione alla possibilità di cambiamento prodotta direttamente nel soggetto.

La revoca della messa alla prova

Ai sensi dell’art. 28, comma 5, d.P.R. 448/88 la sospensione è revocata in caso di ripetute (non episodiche) e gravi (non lievi) trasgressioni: l’uso della congiunzione “e” indica che a legittimare la revoca non bastano violazioni lievi, anche se reiterate, né è sufficiente un’unica violazione, seppure rilevante.

I requisiti della ripetizione della gravità delle trasgressioni sono complementari e non alternativi; è necessario quindi un vero e proprio rifiuto del minorenne ad impegnarsi nel progetto da egli accettato in precedenza; rifiuto attuato con ripetute e gravi violazioni dei patti stabiliti

Ma a chi spetta il gravoso compito di relazionare in proposito? Sono i servizi sociali a dover elaborare la proposta di revoca della misura, da presentare, dietro apposita relazione sul comportamento del minorenne e sull’evoluzione della sua personalità, direttamente al presidente del collegio che ha disposto la sospensione del processo nonché al pubblico ministero.

Per la valutazione dell’opportunità di revoca viene fissata la data di una nuova udienza che sarà dedicata all’esame delle trasgressioni.

Questo implica che il giudice, nel momento in cui ritenga di dovere revocare la sospensione del processo conseguente all’affidamento dell’imputato ai servizi sociali, deve osservare la regola del contraddittorio provvedendo preventivamente alla convocazione e all’audizione delle parti.

Il provvedimento di revoca, al pari dell’ordinanza che dispone la misura, è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 28, comma 3, d.P.R. 448/88.

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