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Violenza sulle donne e stupro coniugale: quando il nemico è in casa

Violenza sulle donne e stupro coniugale: quali provvedimenti sono stati presi per fronteggiare il problema e quale tutela è stata posta in essere per le vittime?

Violenza sulle donne e stupro coniugale: la legge italiana prima della riforma

Prima della riforma, il panorama legislativo italiano rispecchiava quello internazionale: il matrimonio era fonte di una sorta di debitum coniugale e, dunque, di un diritto ad ottenere l’adempimento dei cd. doveri coniugali da parte dell’uno (il marito), non riservandosi all’altro (la moglie) il contrapposto diritto di opporvisi.

Il sistema, pertanto, prevedeva una specie di causa di giustificazione (tacitamente recepita dai giudici) in base alla quale la pretesa prestazione sessuale si giustificava con l’adempimento agli obblighi matrimoniali assunti col matrimonio, sulla falsariga della nota marital rape exemption originariamente scriminante lo stupro coniugale in alcune giurisdizioni degli Stati Uniti d’America.

In quel sistema, l’esenzione di responsabilità veniva ravvisata talvolta per via del consenso prestato all’atto del matrimonio, e talaltra per la ritenuta minore gravità del fatto.

Ma tale assetto, qualche anno più avanti, mutò radicalmente tanto che si introdusse una specifica fattispecie delittuosa (spousal rape) che, seppur sanzionata in maniera più leggera rispetto allo stupro comune, valse a vestire di disvalore penale la condotta.

Anche nell’ordinamento italiano, si parlò di consenso al matrimonio come scriminante per le future iniziative sessuali del consorte, pur se violente. E una tale concezione ha predominato fino alla prima metà degli anni ’70.

Da reato contro la morale pubblica a reato contro la libertà personale

La legge n. 66 del 15 Febbraio 1996, ha modificato radicalmente la disciplina dello stupro, rendendolo reato contro la libertà personale.

L’intento, evidente, è stato quello di adeguare il Codice penale al profondo mutamento che ha investito, in maniera pressoché repentina, i costumi e le abitudini sessuali degli ultimi decenni, nonché le direttive e le raccomandazioni provenienti dalla Comunità Europea.

Prima della riforma del 1996, la violenza sessuale era considerata come un atto lesivo della “moralità pubblica e del buon costume”: dunque un’offesa non già, o almeno non solo, alla persona che ne era restata vittima, bensì al suo “ruolo” rivestito all’interno della collettività. In conseguenza di ciò, ogni lesione del diritto al libero sesso veniva in rilievo unicamente nei limiti in cui risultava aver assunto connotati di effettiva offesa al superiore interesse della morale pubblica e del buon costume.

La riforma, in linea con i precetti della Costituzione, ha rotto gli schemi dalla tutela della moralità pubblica e del buon costume si è giunti a quella della dignità umana e della libera scelta nella sfera sessuale: la libertà sessuale è diventata l’oggetto giuridico degno di tutela.

E così viene introdotto l’art. 609bis c.p., norma a tutela della libertà sessuale, ovvero la libertà di autodeterminarsi in ordine alla propria sfera sessuale ed agli atti che la compongono.

Cosa si intende per atti sessuali?

Nel concetto di atti sessuali deve ricomprendersi ogni atto comunque coinvolgente la corporeità della persona offesa, e posto in essere con la coscienza e volontà di compiere un atto invasivo della sfera sessuale di una persona non consenziente. Anche un bacio o un abbraccio sono idonei a compromettere la libertà sessuale dell’individuo, qualora, in considerazione della condotta complessiva, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte, emerga una indebita compromissione della sessualità del soggetto passivo.

Per quanto riguarda la violenza, essa consiste non solo nell’esercizio di una vis fisica o coazione materiale, ma anche qualsiasi atto o fatto che abbia come ricaduta la limitazione della libertà del soggetto passivo, costretto, contro la sua volontà, a subire atti sessuali.

Per quanto concerne invece la minaccia, essa consiste nella prospettazione di un male ingiusto e notevole (ad opera del soggetto agente) quale conseguenza del rifiuto a subire la condotta.

Il consenso deve perdurare per tutta la durata del rapporto sessuale e non solo all’inizio, integrandosi dunque il delitto quando il consenso originariamente prestato venga meno a causa di un ripensamento o a causa della non condivisione delle modalità di consumazione del rapporto. Il consenso deve inoltre essere prestato validamente e coscientemente.

Si evince, dalla lettura della norma che essa è protesa alla tutela della libertà sessuale dell’individuo e pertanto, la violenza sessuale, sia essa attuata per costrizione o per induzione, lede tale libertà, che va intesa come diritto del singolo di manifestare le proprie preferenze sessuali e di opporsi (negandovi il consenso) ad altrui intenti di strumentalizzazione del proprio corpo.

Stupro coniugale, il codice non fornisce risposta

Si è già definito lo stupro coniugale come quello commesso in danno del partner, sia esso coniuge o compagno.

Tuttavia, l’art. 609bis c.p. non precisa i rapporti intercorrenti fra le parti al momento della consumazione del delitto, ma sul punto è intervenuta numerosissime volte la Cassazione, ribadendo la piena configurabilità dello stupro commesso a danno del coniuge.

La Cassazione: la legge italiana verso il riconoscimento dello stupro coniugale come un crimine a tutti gli effetti

La sentenza della Corte di Cassazione n. 14789/2004 afferma che non esiste all’interno del rapporto di coniugio “un diritto all’amplesso, né il potere di esigere o di imporre una prestazione sessuale non condivisa”, non ravvisandosi “un’area di esenzione diversa o distinta da quella regolata dal reciproco consenso”.

Neppure l’ingiustificato e persistente rifiuto del c.d. “debito coniugale” ricompreso tra gli obblighi di “fedeltà” e di “assistenza morale e materiale” derivanti dal matrimonio (art. 143 cod. civ.) legittima il ricorso ad alcuna forma di coercizione morale o fisica per ottenere la consumazione del rapporto fisico.

Da quanto emerge dalla sentenza, la qualità di coniuge è del tutto “sterile ai fini dell’apprezzamento della condotta vietata” non esistendo una “quantità di violenza sessuale tollerabile tra coniugi e non pure tra estranei”, denegandosi ogni distinzione tra violenza consumata all’interno, ovvero al di fuori del coniugio.

Per la Corte una donna che racconta che il marito la costringeva ad avere rapporti sessuali a cui non sempre reagiva per paura di prendere ancora botte, e quando reagiva non riusciva a contrastare la sua forza, si tratta “certamente (…) di violenza sessuale con costrizione mediante violenza”.

La Suprema Corte ha, in più occasioni, ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, “è sufficiente qualsiasi forma di costringimento psicofisico idoneo ad incidere sull’altrui libertà di autodeterminazione, senza che rilevi in contrario né l’esistenza di un rapporto di coppia coniugale o para-coniugale tra le parti, e nè la circostanza che la donna non si opponga palesemente ai rapporti sessuali, subendoli, laddove risulti la prova che l’agente, per le violenze e minacce poste in essere nei riguardi della vittima in un contesto di sopraffazione ed umiliazione, abbia la consapevolezza di un rifiuto implicito da parte di quest’ultima al compimento di atti sessuali”.

In punto consenso/dissenso della donna al compimento dei rapporti sessuali con il coniuge, la Corte rammenta che “nei rapporti sessuali tra persone maggiorenni, il compimento di atti sessuali deve essere sorretto da un consenso che deve sussistere al momento iniziale e deve permanere durante l’intero corso del compimento dell’atto sessuale”: dunque, la manifestazione del dissenso, che può essere anche non esplicita e manifestata durante la consumazione del rapporto, esclude la liceità dell’atto sessuale.

Il giudizio della Corte è tranciante: “La libertà sessuale, quale espressione della personalità dell’individuo che riceve tutela nella proclamazione della inviolabilità assoluta dei diritti dell’uomo, riconosciuti e garantiti dalla Repubblica in ogni formazione sociale, come prevede l’articolo 2 Cost., e nella promozione del pieno sviluppo della persona che la Repubblica assume come compito primario secondo l’articolo 3 Cost., comma 2, comporta la libertà di disporre del proprio corpo a fini sessuali in modo assoluto e incondizionato che non incontra limiti”.

Le ultime dalla giurisprudenza: lo stupro coniugale è reato

Con sentenza n. 43818 del 12 Ottobre 2023, la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha, di nuovo, affrontato la configurabilità del reato di violenza sessuale nel rapporto tra i coniugi.

Già nel 2005 la Suprema Corte affermava che “il persistente rifiuto di intrattenere rapporti affettivi e sessuali con il coniuge – poiché, provocando oggettivamente frustrazione e disagio e, non di rado, irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico, costituisce gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner”.

Ma, ora, viene punito anche il tentativo di avere un rapporto sessuale senza il preventivo consenso della moglie.

In definitiva, integra il reato di violenza sessuale tentata il mancato soddisfacimento delle richieste a sfondo sessuale conseguente al rifiuto opposto dalla vittima. Sussiste l’ipotesi tentata quando la consumazione del reato non abbia avuto luogo non per autonoma volontà dell’imputato, bensì per la ferma resistenza opposta dalla vittima.

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