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Il “serial killer di Prati” non c’era e ci siamo rimasti male

Dopo le ore e i giorni in cui tutti i media e l’opinione pubblica hanno – diciamolo sperato che l’assassino delle tre prostitute a Roma, avvenuto il 17 novembre, fosse un serial killer, la domanda è: perché?

Una forte suggestione

La stessa professione per le vittime, lo stesso giorno per morire, la vicinanza delle due scene del crimine, la stessa arma hanno creato subito una suggestione molto forte, che poi è svanita quando la Squadra Mobile ha arrestato il responsabile, Giandavide De Pau, pregiudicato di 51 anni, uomo di fiducia di un boss importante della camorra come Michele Senese, tanto da accompagnarlo a incontri decisivi. Precedenti per droga, armi, violenza sessuale, lesioni personali, ricettazione, violazione di domicilio; due ricoveri psichiatrici a Montelupo Fiorentino. A posteriori, un profilo perfetto per tre omicidi.  

Chi è De Pau e che movente aveva

Il suo nome era finito nell’inchiesta «Mondo di mezzo»: si sapeva che aveva accompagnato Senese a un incontro con Massimo Carminati, verso fine aprile del 2013. Che De Pau abbia agito in condizioni di ridotta capacità di intendere e di volere è da stabilire: il fatto che abbia ripreso col cellulare l’audio degli omicidi delle due donne cinesi (Yan Rong Li e Xiuli Guo) depone piuttosto per una precisa consapevolezza di quello che stava facendo. Gli audio sono inequivocabili e hanno inchiodato da subito De Pau, rendendo più facile il lavoro della Squadra Mobile, che doveva a quel punto solo rintracciarlo.

Un uomo libero e violento, che diventa fuori controllo quando fa uso di sostanza che, forse, gli slatentizzano problemi psichiatrici preesistenti? Oppure un assassino che ha premeditato i tre omicidi, anche se non ha progettato una fuga degna di questo nome?  Lo chiariranno gli psichiatri. E magari ci diranno anche il movente di questi delitti, apparentemente senza senso. Un’ipotesi è che ci fosse un motivo per tacitare la prima vittima (che magari poteva aver visto o sentito qualcosa), che la seconda sia stata uccisa perché intervenuta sentendo le grida e che la terza (Marta Castano Torres) si sia opposta alle richieste di De Pau di procurargli un documento falso per la fuga, poco dopo. Ipotesi, però.

Perché abbiamo voluto vedere un serial killer?

Ha operato anche la suggestione iniziale dei video girati sulle scene del crimine da De Pau: tecnicamente dei video, in realtà solo degli audio perché la telecamera era poggiata a faccia in giù. Questo ha fatto pensare al maniaco che si rivende le immagini dei delitti: immagini che però non ci sono mai state.  Poi, ci sono molte altre ragioni.

I serial killer ci affascinano per tanti motivi. Uno: sentire storie di esseri luridi e violenti come loro ci fa percepire (erroneamente) il Male come qualcosa che può essere confinato fuori di noi, che insomma non ci riguarda.  Due: come disse Robert Simon: “chi almeno una volta nella vita, spinto da un moto di rabbia, nei confronti di un vicino molesto o da un automobilista particolarmente fastidioso, non ha pensato di volergli usare cruda violenza?”. Ecco, i serial killer fanno proprio quello che noi vorremmo fare e non facciamo. Tre: cerchiamo sempre una spiegazione a tutto per poter controllare la realtà e quella del “serial killer di Prati” era la spiegazione più semplice e ovvia. Se invece diciamo che è stato un pregiudicato di cui non si sa il movente, il controllo va a farsi benedire.  Quattro: la scelta apparentemente casuale delle tre vittime ci fa sentire tutti in pericolo, ci mette in allerta. E, cinque: i seriali canalizzano emozioni primitive di tutti noi come paura, lussuria, rabbia. Ecco perché. Invece, era solo il signor De Pau, di anni 51, pregiudicato per mille reati.

Foto di Rene Böhmer su Unsplash

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