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Anna Vagli, criminologa e profiler, nel suo studio

La criminologa Anna Vagli: “Il male? Affascina perché permette di confrontarsi con la morte”

Anna Vagli, consulente di casi molto noti e conosciuta per suoi interventi televisivi e radiofonici, spiega cosa muova le persone verso il male.

Anna Vagli, la passione per il crimine nata con i libri noir

Anna Vagli nasce nel 1989 a Forte dei Marmi, da sempre appassionata lettrice di libri noir e gialli, ha fatto della sua passione una professione diventando criminologa forense. Un lavoro che definisce “affascinante e misterioso”.

E sull’attrazione che ogni persona dimostra verso il male dice: “È quasi fisiologico. Tutti ci appassioniamo di fronte ai delitti perché portano a confrontarci con quelli che sono i principali temi esistenziali: la morte, i legami sociali e la mostruosità che talvolta purtroppo vi è insita. Pensiamo a quante volte guardando un film tentiamo di coprirci gli occhi con una mano nel momento esatto in cui un crimine sta per essere compiuto. In quegli istanti, però, non ci dimentichiamo mai di lasciare i giusti spazi tra le dita per ‘goderci’ il colpo letale. Sono caratteristiche che accomunano tutti: curiosità mista a paura verso l’ignoto.”

Di questo e tanto altro abbiamo parlato in un’intervista.

Anna, nonostante tu sia molto giovane sei già un’affermata criminologa e profiler, quando è nata la tua passione per il mondo del crimine? 

La mia passione per il crimine risale all’infanzia. Sono sempre stata una bambina che leggeva molto. Mia nonna materna ogni volta che uscivamo mi comprava un libro. Ad un certo punto non sapeva più quale regalarmi: li avevo letti tutti. Così poi si è accorta che prediligevo i gialli. La strada maestra è però arrivata all’università, quando ho iniziato ad appassionarmi maniacalmente alla cronaca giudiziaria. Non avrei potuto orientare diversamente la mia carriera. Unitamente alla scrittura, che è l’altra mia grande passione. Per questo ho intrapreso anche il percorso per diventare giornalista e dal 2020 sono iscritta all’ordine dei giornalisti della Toscana come pubblicista. Quanto all’essere affermati, io mi sento sempre in gavetta. Consapevole di avere ancora tanti altri traguardi da tagliare.

Quale percorso di studi hai fatto per diventare criminologa forense? 

Mi sono laureata in giurisprudenza, ho conseguito un master di primo e secondo livello in criminologia e psicologia investigativa, sopralluogo tecnico sulla scena del crimine e criminal profiling. Mi sono specializzata presso una scuola di formazione giuridica ed ho poi conseguito una certificazione in neuroscienze cognitive applicate e una certificazione come analista comportamentale ed esperta in linguaggio del corpo.

Quali casi di cronaca nera ti hanno colpita di più e perché?

Ce n’è uno in particolare, che è poi quello che ha fatto da faro a tutta la mia carriera: l’omicidio di Yara Gambirasio. Io ho due sorelle più piccole, ed il motivo per il quale mi ha colpito la sua morte è proprio l’aver sempre pensato a Yara come ad una sorella minore. Una vita spezzata a tredici anni tra il freddo, la paura e gli stenti. Dopo essersi opposta ad un tentativo di violenza sessuale. Un’infanzia violata. Niente di più atroce.

Questo 2022 è stato caratterizzato da un gran numero di femminicidi, spesso a opera di conoscenti (amici, ex, partner) con l’aggravante di un certo grado di sadismo (penso per esempio al caso di Carol Maltesi, ma non solo). Cosa scatena la furia omicida degli uomini nei confronti delle donne e questa voglia di distruggere, eliminare, umiliare? 

“Se mi lasci o mi rifiuti io ti cancello”. Questo è il convincimento che si insinua in chi si macchia di femminicidio. Sono uomini privi dell’attrezzatura emotiva per gestire l’oltraggio del rifiuto. Uomini che nella maggior parte dei casi hanno fallito nella quasi totalità degli ambiti della loro misera esistenza. Ed in questo senso, anziché cercare di capire che cosa si sia inceppato nella loro vita, riversano tutte le loro frustrazioni nei confronti di coloro che sono, o sono state, compagne di vita.

Non sono mancati anche diversi casa di madri assassine. Sembra difficile pensare che si possa infierire contro i propri bambini, cosa scatta nella mente di una madre in quei momenti? 

Umanamente non c’è niente di più innaturale del togliere la vita ad un bambino dopo avergliela donata. Questo spinge la società a ricercare una presunta follia della madre assassina. Ma, in realtà, non c’è una traiettoria univoca per quel che attiene le dinamiche dei figlicidi e degli infanticidi. In gioco possono esserci molteplici fattori, ma nei casi più frequenti le madri uccidono per vendetta. Una vendetta da consumarsi nei confronti di un partner o ex partner in forza di un torto reale o presunto. Sono loro, le madri Medea.  C’è infatti uno stereotipo da sradicare. Quello che le madri sono biologicamente preposte ad annullare la propria vita in favore di quella che hanno generato. Ma letteratura scientifica dimostra come l’istinto materno in realtà non esista.

I romanzi noir e gialli sono sempre più letti, le serie e i programmi televisivi di cronaca nera sempre più visti. Tutto questo dimostra che c’è una grande curiosità nei confronti del crimine, perché il “male” affascina così tanto? 

Il male affascina perché tutti siamo guidati da una macabra legge dell’attrazione. Da un’inconscia necessità di prendere confidenza con la morte. Curiosità e paura verso l’ignoto. Del resto, la morte è un qualcosa che accomuna tutti noi. Nessuno può sfuggirle e, questo, in qualche modo, funziona da calamita.

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