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Gli avvocati e la deontologia forense nell’era dei social network

Da quando è stato fondato Facebook la nostra vita è cambiata, tutto è affidato alla rete, dalle nostre vacanze alla pubblicità, alla vendita di beni e servizi. Anche gli avvocati si sono adeguati. Ma con quali ripercussioni sulla deontologia forense? La presenza social è sempre e solo “pubblicità” per un professionista? E quando, invece, la comunicazione digitale “sfocia” nella pubblicità?

L’argomento non è nuovo, anche perché l’utilizzo dei social network da parte dei professionisti forensi li può esporre da un punto di vista disciplinare, anche per il semplice fatto di avere stretto amicizia con un magistrato. Dunque, è bene fare attenzione a ciò che si pubblica sul proprio profilo e anche selezionare attentamente il livello di privacy.

Tuttavia, il discorso non investe solo la parte privata della vita di un avvocato, ma anche il suo modo di lavorare ed essere competitivo sul mercato.

I principi della deontologia forense e i social network

Come si declinano i principi generali della deontologia forense (probità, dignità e decoro), nell’era della comunicazione social?

Probità, dignità e decoro costituiscono doveri generali e concetti guida, a cui si ispira ogni regola deontologica, per due ordini di ragioni: rappresentano le necessarie premesse per l’agire degli avvocati, e mirano a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nella figura dell’avvocato, quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 51 del 24 marzo 2021).

Poiché l’avvocato in ogni situazione (compresa la vita privata) ha il dovere di comportarsi con la dignità e con il decoro imposti dalla funzione che l’avvocatura svolge nella giurisdizione, va da sé che probità, dignità e decoro permeano la valutazione sul comportamento dell’avvocato a tutto tondo.

Quali conseguenze rispetto al ruolo dell’avvocato e alla sua vita privata?

Ruolo e autorevolezza dell’avvocato

L’integrità di un legale non deve solo apparire ma anche essere. Un avvocato ha l’obbligo di apparire ed essere integerrimo proprio in virtù dell’alto ruolo rivestito, ovvero garantire al cittadino l’effettività della tutela dei diritti. Ciò, in altri termini si traduce non solo nella preparazione professionale ma anche nell’onestà e correttezza del suo personale comportamento.

Vita privata

Come detto, il codice deontologico non distingue tra dimensione pubblica e dimensione privata: anche quest’ultima può avere rilevanza deontologica se leda comunque gli elementari doveri di probità, dignità e decoro e, riflettendosi negativamente sull’attività professionale, comprometta l’immagine dell’avvocatura quale entità astratta con contestuale perdita di credibilità della categoria.

Il codice di deontologia: un’analisi ravvicinata

Normalmente, per verificare se ci sia stata violazione dei canoni deontologici generali nella comunicazione social, si fa riferimento all’articolo 17, per il quale “È consentita all’avvocato, a tutela dell’affidamento della collettività, l’informazione sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative. In ogni caso le informazioni offerte devono fare riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale”. Affidamento della collettività e trasparenza della obbligazione professionale sembrano essere gli obiettivi esclusivi; il messaggio deve astenersi da forme, tra le altre, suggestive (tipiche dei messaggi pubblicitari).

Tuttavia, ci sono altri articoli che si combinano con quello appena citato:

  • art. 9: doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza;
  • art. 35: dovere di corretta informazione;
  • art. 37: divieto di accaparramento di clientela;
  • art. 52: divieto di uso di espressioni offensive o sconvenienti;
  • art. 57: rapporti con organi di informazione e attività di comunicazione, per il quale, fatte salve le esigenze di difesa della parte assistita, nei rapporti con gli organi di informazione e in ogni attività di comunicazione, l’avvocato non deve fornire notizie coperte dal segreto di indagine, spendere il nome dei propri clienti e assistiti, enfatizzare le proprie capacità professionali, sollecitare articoli o interviste e convocare conferenze stampa. L’avvocato deve in ogni caso assicurare l’anonimato dei minori.

In particolare, qui interessa la nuova formulazione dell’art. 35 del Codice di deontologia forense (approvato dal CNF il 23 Ottobre 2015 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n°. 102 del 3 Maggio 2016), in quanto rappresenta un passaggio molto importante.

Il testo della norma così recita: “l’avvocato che dà informazioni sulla propria attività professionale, quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse, deve rispettare i doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale

La ratio è molto intuitiva: il rispetto dell’etica professionale non deve essere sacrificato neanche di fronte a scenari economici accattivanti.

La delibera del 22 Gennaio 2016 del Consiglio nazionale Forense ha modificato il predetto comma inserendo l’inciso: “quali che siano i mezzi utilizzati per rendere le stesse”.

Cosa significa?

L’avvocato può ben “pubblicizzare” (le virgolette sono d’obbligo) la propria attività professionale ma sempre e comunque nel rispetto dei doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza.

La declinazione del codice deontologico forense sul web

Accaparramento di clientela attraverso internet

Non si può offrire la propria prestazione professionale tramite Internet ad un costo simbolico. Per quanto, che il mercato del web sia molto competitivo il rispetto del dovere di correttezza impone all’avvocato di offrire le proprie prestazioni professionali attenendosi al tariffario approvato con il DM del 2014.

Ci si deve sempre ricordare che l’avvocato non “vende” la propria opera al miglior offerente.

Prezzi

È possibile indicare i prezzi dei compensi, purché gli stessi siano congrui e proporzionati. Il CNF ha modificato in parte la propria giurisprudenza in materia: l’avvocato può dare informazioni sulla propria attività professionale “con qualunque mezzo”, nel rispetto dei limiti della trasparenza, verità, correttezza e purché l’informazione stessa non sia comparativa, ingannevole, denigratoria o suggestiva. Conseguentemente, non può (più) considerarsi contrario al decoro ed alla correttezza un messaggio pubblicitario che enfatizzi il corrispettivo, basta che il detto messaggio contenga tutti gli elementi indicati dalla normativa.

A ciò si aggiunga che l’indicazione del prezzo del corrispettivo è elemento fondamentale per un’informazione pubblicitaria professionale corretta e completa.

La pubblicità informativa

L’immagine è importante e deve trasmette le caratteristiche di professionalità dell’avvocato.

Tuttavia, il codice deontologico non consente una pubblicità indiscriminata ed elogiativa perché incompatibile con la dignità e il decoro della professione e, soprattutto, a tutela dell’affidamento della collettività.

Anche il tema delle brochure riveste interesse deontologico. Infatti, è vietata la pubblicità informativa se svolta con modalità che lesive della dignità e del decoro propri di ogni pubblica manifestazione dell’avvocato ed in particolare di quelle manifestazioni dirette alla clientela reale o potenziale.

Gli avvocati, il web e i social network

Mentre in passato, l’avvocato poteva usare, a fini informativi, siti web con domini propri e senza alcun reindirizzamento, previa comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza, oggi il professionista può utilizzare un profilo Facebook, Linkedin o Twitter.

Tale utilizzo, tuttavia, è consentito per scopi personali o familiari purché non sia rivolto a dare informazioni sull’attività professionale. In ogni caso, non il professionista non è esonerato dall’obbligo di improntare la sua condotta ai caratteri della dignità e decoro.

Altra questione è quella del dominio. Infatti, l’indirizzo del sito web non dovrebbe indicare altri nomi se non quello dell’avvocato, del suo studio o della società di avvocati.

In altre parole, qualsiasi mezzo è ammesso, quindi, anche i siti web con o senza reindirizzamento, purché il loro utilizzo avvenga nel rispetto dei giusti doveri di verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza, facendo in ogni caso riferimento alla natura e ai limiti dell’obbligazione professionale.

L’Europa e la deontologia forense

L’art. 24 della Direttiva CE n°. 123/2006 dispone che: “gli stati membri provvedono affinchè le comunicazioni commerciali che emanano delle professioni regolamentate ottemperino alle regole professionali, in conformità del diritto comunitario, riguardanti, in particolare, l’indipendenza, la dignità e l’integrità della professione nonché il segreto professionale, nel rispetto della specificità di ciascuna professione. Le regole professionali in materia di comunicazioni commerciali sono non discriminatorie, giustificate da motivi imperativi di interesse generale e proporzionate”.

Il Decreto Legislativo n. 59 del 26.03.2010 ha attuato tale direttiva riportando le medesime indicazioni all’art. 34.

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