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Magistrati e avvocati sui social: cosa prevedono le regole deontologiche 

L’uso dei social può rivelarsi dannoso per chi riveste una carica pubblica e istituzionale, come magistrati e avvocati. Perciò, è consigliabile prestare particolare attenzione e cautela rispetto a ciò che si pubblica e condivide. Cosa prevedono in materia le regole deontologiche?

Magistrati e social: l’amicizia su Facebook non costituisce reato

L’utilizzo dei social può generare conseguenze talvolta impreviste e causare danni personali. È il caso, in particolare, di chi svolge una carica pubblica o istituzionale, come magistrati e avvocati.

Tre anni fa, ad esempio, un magistrato venne indagato per abuso di ufficio a seguito di un esposto di un cittadino che segnalava come il giudice della sua causa fosse “amico” su Facebook dell’avvocato di controparte.

In quell’occasione il giudice per le indagini preliminari stabilì che non poteva configurarsi reato, o incompatibilità, in quell’ “amicizia” su Facebook. D’altronde, in più occasioni, i giudici hanno sottolineato che l’amicizia su Facebook, o quella sulle piattaforme digitali, si configura in modo del tutto diverso da quella della vita reale. Un amico sui social, non necessariamente, intrattiene un rapporto di amicizia nella realtà di tutti i giorni.

Tuttavia, episodi di questo tipo, hanno sollevato il sipario sulla questione di come magistrati e avvocati debbano comportarsi sul web. Su quali contenuti pubblicare e condividere. A tal proposito, il 25 marzo del 2021, il Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (CPGA) ha approvato una delibera sull’uso dei mezzi di comunicazione elettronica e dei social network da parte dei magistrati amministrativi.

Nel documento si cerca di trovare un equilibrio tra i diritti e le libertà costituzionali dei magistrati, in qualità di singoli individui e cittadini, con gli interessi sovraindividuali nei confronti delle cariche pubbliche e delle istituzioni.

Cosa dice la delibera del CPGA?

La delibera del CPGA affronta il tema dei social network in modo esaustivo, cercando di conciliare quelle che sono le libertà e i diritti fondamentali delle figure coinvolte con il proprio ruolo all’interno della società.

Nella fattispecie, si ricorda che queste piattaforme sono mezzi di comunicazione di massa e, in quanto tali, devono essere utilizzati con accortezza e parsimonia da chi riveste una carica pubblica. Infatti, un comportamento poco prudente potrebbe ripercuotersi in modo negativo non solo nei confronti del singolo individuo, ma anche nei confronti dell’intera istituzione. Oltre a questo, il documento ricorda ai diretti interessati di astenersi a diffondere informazioni che potrebbero nuocere al buon funzionamento dell’organo giudiziario di appartenenza.

La delibera, inoltre, approfondisce il tema della conoscenza da parte dei giudici del funzionamento tecnico dei social network. Tra i comportamenti che i magistrati dovrebbero tenere in considerazione ci sono le “amicizie”, la pubblicazione dei post, fino ai semplici “like”. Attività che, se effettuate con leggerezza, potrebbero compromettere o macchiare l’immagine della persona coinvolta.

Come ha dichiarato nel 2019 il Presidente Mattarella, all’inaugurazione dei corsi di formazione della Scuola Superiore della Magistratura di Castelpulci, circa l’uso dei social media da parte dei magistrati “si tratta di strumenti che, se non amministrati con prudenza e discrezione, possono vulnerare il riserbo che deve contraddistinguere l’azione dei magistrati e potrebbero offuscare la credibilità e il prestigio della funzione giudiziaria”.

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