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Dopo 65 anni, “The boy in the box” ha un nome

È stato uno dei cold case più famosi d’America e da qualche giorno è meno irrisolto di prima. Ma chi ha ucciso quel bambino di 4 anni?

Quella non è una bambola!

La storia inizia nel 1957, nell’Indiana, quando martedì 25 febbraio viene ritrovato uno scatolone da imballaggio. Dentro si intravede qualcosa. Una bambola? No. È il corpo nudo di un bambino, più o meno avvolto in una coperta. È morto di percosse, di maltrattamenti, come dirà l’autopsia. I segni delle ferite sulle gambe, allo stomaco, in faccia, soprattutto alla faccia e alla testa. È lì da un paio di giorni. Già, ma il nome? Nessuno ne reclama la scomparsa, nessuno lo riconosce nemmeno quando la polizia di Philadelphia mette la sua faccia di fronte e di profilo dappertutto, in città, per vedere se qualcuno può dire chi è. Ma no, nessuno si fa avanti. Il piccolo non ha un nome e per la nazione diventa semplicemente “the boy in the box”, il ragazzo nella scatola. E, col passare degli anni, uno dei cold case più vecchi d’America. Un caso disperato.

Due riesumazioni

Lo riesumano nel 1998, sperando nel dna mitocondriale estratto da un dente, ma il cadavere è troppo deteriorato, qualcosa va storto, niente di fatto. Ci riprovano nel 2019, con nuove tecniche e stavolta un dna buono si estrae. Solo che lui non dice mai nome e cognome di nessuno, bisogna sempre confrontarlo con qualcuno.  Un’operazione di genetica e di genealogia, lunghissima, complicata, che dura ben tre anni, con pazienza e risorse umane ed economiche da impiegare. E, dopo tre anni, finalmente un nome: il ragazzo nella scatola è Joseph Augustus Zarelli, nato il 13 gennaio 1953 e quindi morto all’età di 4 anni. I genitori sono morti nel frattempo ma c’era un fratello con cui fare il confronto. Confronto positivo. Le scienze forensi ce l’hanno fatta.

E ora: chi ha ucciso il piccolo Joe?

Se la sua scomparsa non è mai stata denunciata dai genitori vuol dire che non doveva essere denunciata, che loro in qualche modo sono coinvolti. Possiamo immaginare scenari diversi, ma il più semplice dei quali –da verificare- è che la famiglia Zarelli fosse una famiglia disfunzionale, in cui magari il padre era un violento. Ripetute botte al bambino potrebbero averne causato la morte. A quel punto si sarebbero ritrovati un cadavere in casa e l’unica soluzione trovata sarebbe stata quella di sbarazzarsi del corpo gettandolo via. Un incidente di percorso. Oppure possiamo pensare a una madre violenta, perché no?

Ma è anche vero che Joe appariva pulito e con un recente taglio di capelli, al ritrovamento. Una cura che non fa pensare a una famiglia violenta, dove spesso i bambini sono abbandonati a se stessi.

Nessuno ha riconosciuto Joe

All’epoca i Zarelli vivevano vicino l’incrocio tra la 61° e Market Street. Siamo nella parte ovest della città, una vasta area di case basse, oggi spaccata in due da una bassa e lunghissima sopraelevata. Il corpo fu invece ritrovato in Susquehanna Road, a tre quarti d’ora d’auto, dove le case si diradano e inizia una vasta area boschiva, ai confini del Northeast Airport di Philadelphia. Il più lontano possibile da casa, insomma. Oggi l’area del ritrovamento è residenziale, all’epoca era una stradina con alberi da una parte e dall’altra, dove si andava a fare piccole discariche abusive.

Certo che la domanda è: ma perché nessun vicino, nessun parente ha riconosciuto Joe nei 400.000 manifestini appiccicati in tutta la città nel 1957? Addirittura, copie del volantino furono inserite anche nelle bollette del gas. Insomma, impossibile non vederlo.  A meno che nessuno volesse avere a che fare con la polizia, giù dalle parti della Sessantunesima, una zona popolare della città, dove forse le forze dell’ordine non erano proprio benvenute. Dove era meglio farsi i fatti propri  Spesso le domande complesse hanno risposte semplici.

Nel frattempo le indagini non si fermano.

Il Dipartimento di Polizia di Philadelphia un’idea del colpevole ce l’ha, ma non ha rilasciato dichiarazioni. Probabilmente non c’è più nessuno da arrestare, e d’altronde potrebbe anche non essere un familiare. Perché non pensare a un vicino di casa, che reagisce con violenza al rifiuto del bambino di accettare un contatto sessuale con lui? Ma anche in questo caso: perché allora i genitori non denunciarono la scomparsa di Joe?

Foto di Brandable Box su Unsplash

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