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Uomo e donna che si danno le spalle

Assegno di mantenimento, alimenti e assegno divorzile: facciamo un po’ di chiarezza

Dalla separazione e dal divorzio discendono degli obblighi di natura economica. Tuttavia, molto spesso si fa confusione, complice anche la poca conoscenza del linguaggio tecnico, fra assegno di mantenimento, alimenti e assegno divorzile. Facciamo un po’ di chiarezza.

Che cos’è l’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento è un importo forfettizzato, stabilito in sede di separazione, la cui funzione è quella di fornire un sostegno al coniuge economicamente più debole.

Nella maggior parte dei casi, è deliberato in favore della moglie che non lavora o il cui reddito è significativamente inferiore a quello del marito. L’attribuzione dell’assegno avviene su istanza di parte e non può essere fissato d’ufficio. Viceversa, il giudice può adottare, senza previa richiesta, i provvedimenti a tutela degli interessi materiali e morali della prole, compresa l’attribuzione del contributo al mantenimento (Cass. Ord. 14830/2017).

Le parti

Spesso è difficile comprendere il ruolo delle parti a causa del linguaggio giuridico impiegato. Facciamo chiarezza:

  • la parte obbligata alla corresponsione dell’assegno viene definita coniuge obbligato o onerato;
  • la parte che riceve l’assegno viene definita coniuge beneficiario o avente diritto.

La funzione dell’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento ricopre una duplice funzione:

  1. assistenziale: come sostegno economico successivo alla cessazione della convivenza matrimoniale (non è dovuto nelle convivenze more uxorio);
  2. perequativa, vale a dire equilibratrice, finalizzata al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dei coniugi stessi.

Non si può parlare né di funzione compensativa, perché non è diretto a ricompensare il coniuge per i sacrifici fatti durante il matrimonio, né risarcitoria, ossia non è volto a ristorare il coniuge per le conseguenze negative derivanti dalla cessazione del rapporto.

La normativa di riferimento

La norma di riferimento è l’art. 156 cod. civ. per il quale “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato. Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli 433 e seguenti. Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’articolo 155 c.c. La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’articolo 2818”.

Oltre al dato normativo, assume particolare rilievo la giurisprudenza che si è formata nel corso degli anni tale materia. In particolare, deve segnalarsi la portata innovatrice di Cassazione Sezioni Unite n. 18287/2018 in relazione all’assegno divorzile, ma estensibile analogicamente anche a quello di mantenimento.

I presupposti per l’assegno di mantenimento

Si evincono dal già citato art. 156 cod. civ..

È necessario che:

  1. il coniuge richiedente non abbia subito l’addebito della separazione, altrimenti non può averne diritto. Infatti, in questo caso, essendo stato dichiarato responsabile della fine dell’unione coniugale non può certo avanzare pretese di natura economica;
  2. il coniuge richiedente non disponga di adeguati redditi propri, vale a dire si trovi in una condizione economica deteriore rispetto al coniuge obbligato;
  3. l’altro coniuge abbia la possibilità economica di provvedere al pagamento nel senso che il suo reddito deve essere adeguato.

Chi determina l’adeguatezza del reddito del coniuge onerato?

Il giudizio di adeguatezza presuppone un confronto tra le parti che conduca ad una situazione patrimoniale di squilibrio. In tale valutazione, bisogna considerare diversi elementi come:

  • la durata del matrimonio;
  • le potenzialità reddituali;
  • l’età.

Il tenore di vita ha ancora una valenza?

In merito al rilievo da attribuire al tenore di vita, in passato considerato uno dei parametri di riferimento, la giurisprudenza aveva deciso che l’assegno di mantenimento dovesse garantire lo stesso tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Ebbene, la sentenza delle Sezioni Unite del 2018 (n. 18287/2018), ha ribaltato questo orientamento. Infatti, successivamente, le ordinanze nn. 16405/2018 e 26084/2019 hanno affermato che l’assegno di mantenimento non deve realizzare il ripristino del tenore di vita goduto da entrambi i coniugi nel corso del rapporto, ma deve assicurare un contributo che consenta al richiedente (sul quale grava la prova dei presupposti su cui si fonda la domanda, in particolare, la dimostrazione della capacità economica dell’altra parte) di raggiungere un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.

Come si quantifica l’assegno di mantenimento

Il giudice decide se il richiedente abbia diritto alla corresponsione dell’assegno effettuando un confronto tra le condizioni economiche dei coniugi, da cui emerga uno squilibrio patrimoniale tra le parti. Oltre a ciò, bisogna considerare altri elementi che qui si elencano a titolo esemplificativo.

La durata del matrimonio

Essa incide non sulla debenza dell’assegno, ma sul suo ammontare. Pertanto, anche nella circostanza in cui il vincolo matrimoniale sia durato poco, il coniuge più debole ha diritto di beneficiare del mantenimento. Nondimeno, in casi di eccezionale brevità, la giurisprudenza ritiene che l’assegno non sia dovuto atteso che in un contesto di tempo troppo limitato non si può creare la comunione materiale e spirituale che è alla base del matrimonio (Cass. 6464/2015; Cass. 402/2018).

Le possibilità lavorative del coniuge richiedente

Il giudice deve verificare se il coniuge richiedente abbia la possibilità di trovare un impiego in considerazione della sua qualifica professionale e del contesto in cui vive. Il solo fatto che il richiedente non abbia un impiego non gli garantisce, in automatico, la corresponsione dell’assegno. Infatti, qualora si dimostrasse la possibilità concreta (e non meramente astratta) di reperire un lavoro, la richiesta verrebbe rigettata.

I redditi e il patrimonio

Il giudice, per ricostruire il tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio e per effettuare un raffronto tra la situazione patrimoniale dei coniugi, deve conoscere i rispettivi patrimoni.

Che cos’è l’assegno divorzile?

Si definisce assegno divorzile l’obbligo di uno dei due coniugi, a seguito di pronuncia di divorzio, di corrispondere periodicamente all’altro un contributo economico, se questi non ha mezzi adeguati o per ragioni oggettive non se li può procurare. L’assegno di divorzio ha presupposti e finalità diverse dall’assegno di mantenimento.

La normativa di riferimento

La disciplina dell’assegno divorzile è contenuta nell’art. 5, comma VI, L. 898/1970 (legge sul divorzio). La lettera della norma per la verità è piuttosto sintetica, e necessita quindi di essere letta ed integrata alla luce delle interpretazioni giurisprudenziali date dalla Corte di Cassazione nel corso del tempo, in merito ai presupposti per il riconoscimento dell’assegno ed ai criteri per la sua quantificazione.

La norma in questione stabilisce che il Tribunale, con la sentenza con cui dispone lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può stabilire l’obbligo di un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno, quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Secondo l’art. 5, comma VI, la decisione del Tribunale deve tenere conto in particolare “delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio”.

A mente del comma VII della medesima norma, l’assegno può essere corrisposto anche una tantum, ovvero in un’unica soluzione. In questo caso, non è possibile poi chiedere in futuro ulteriori somme.

Infine, quando il coniuge destinatario dell’assegno divorzile si risposa, il comma IX stabilisce che l’altro coniuge non sia più tenuto al versamento dell’assegno.

L’assegno divorzile: i presupposti

Il prevalente orientamento giurisprudenziale è quello che si è affermato a partire dalla sentenza a Sezioni Unite n.18287/2018.

Al fine di poter determinare nel suo ammontare l’assegno divorzile il Giudice dovrà:

  • comparare le condizioni economiche e patrimoniali dei coniugi;
  • verificare se il richiedente è privo di mezzi “adeguati” o comunque è impossibilitato a procurarseli per ragioni oggettive;
  • accertare rigorosamente le cause della sperequazione tra i coniugi.

Per compiere questa indagine, il Tribunale dovrà altresì tenere conto dei criteri dettati dall’art. 5 comma 6 L. 898/70:

  • il contributo che il richiedente ha apportato al nucleo familiare e al patrimonio;
  • il nesso causale tra le scelte comuni dei coniugi e la situazione del richiedente al momento del divorzio, verificando se quest’ultimo abbia sacrificato le proprie aspettative professionali per contribuire alla cura della famiglia;
  • le condizioni personali del richiedente (età, stato di salute, capacità lavorativa etc..) che consentono di compiere una prognosi futura;
  • la durata del vincolo matrimoniale.

Come si calcola l’assegno divorzile?

L’importo del contributo dell’assegno divorzile deve essere quantificato tenendo conto di tutte e tre le funzioni dell’assegno (assistenziale, compensativa, perequativa). Non sarà quindi sufficiente un contributo che consenta il raggiungimento di una autosufficienza economica “astratta”, ma andrà condotta dal Tribunale una verifica “in concreto” sul livello reddituale adeguato al richiedente, in base al contributo che ha prestato alla realizzazione della vita familiare, tenendo conto anche del sacrificio delle aspettative professionali, avvenuto nel corso del matrimonio.

Differenza fra assegno di mantenimento e assegno divorzile

Non vanno confusi assegno di mantenimento ed assegno divorzile, i quali differiscono nella sostanza e non soltanto per il momento in cui vengono stabiliti.

L’assegno di mantenimento presuppone l’esistenza del rapporto matrimoniale, l’assegno divorzile, invece, che esso sia cessato.

Considerato il presupposto dell’assegno di mantenimento, ovvero la persistenza del vincolo coniugale, può ancora trovare applicazione nella quantificazione dello stesso il criterio del “tenore di vita”, che invece è stato superato in riferimento all’assegno divorzile.

Assegno divorzile una tantum

L’art. 5, comma VIII, L. 898/70 prevede la possibilità che le parti possano accordarsi per il pagamento al richiedente di una somma in un’unica soluzione.

L’accordo delle parti deve essere, tuttavia, sottoposto al giudizio del Tribunale, che dovrà valutarne l’equità.

Questa scelta preclude in futuro la possibilità di proporre qualunque domanda di contenuto economico.

Assegno di mantenimento e alimenti: differenze

Nel linguaggio comune, spesso si utilizzano le espressioni “mantenimento” e “alimenti” come sinonimi. Invece, giuridicamente, si tratta di due istituti distinti.

L’assegno di mantenimento viene attribuito da un giudice a seguito di un procedimento di separazione (in questo caso il mantenimento “assorbe” anche gli alimenti), quello divorzio all’esito del procedimento di cessazione degli effetti civili o scioglimento del matrimonio.

Gli alimenti o assegno alimentare (art. 433 cod. civ.) vengono corrisposti su ordine del giudice ad un soggetto che si trovi in stato di bisogno (cosiddetto alimentando) e sia incapace di provvedere al proprio sostentamento. Ne ha diritto anche al coniuge a cui sia stata addebitata la separazione. L’importo dell’assegno non può superare quanto sia necessario per la vita del soggetto bisognoso. Inoltre, il soggetto obbligato a versare gli alimenti può scegliere di accogliere il beneficiario nella propria abitazione, anziché corrispondergli l’assegno.

Di seguito, nella tabella, un’esemplificazione delle differenze.

(la tabella è stata ripresa dal sito www.altalex.it)

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