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La storia dei nastri con la voce di Emanuela Orlandi

Quanti sono i nastri fatti ritrovare con la voce di Emanuela Orlandi? Ne è stato fatto sparire qualcuno? È la voce di Emanuela, quella? Vediamo di rispondere a queste domande una volta per tutte.

Un’ audiocassetta viene trovata alle 22,35 del 17 luglio 1983

In via della Dataria, a Roma, lasciata dai presunti rapitori: la preleva un giornalista dell’Ansa, Giovanni De Paolis, che la consegna alla Digos. Secondo gli attuali ricordi di Antonio Asciore, l’agente che la prese e la ascoltò quella sera, il lato B, che conteneva l’audio di una ragazza abusata o torturata, durava 10 minuti e delle voci maschili si sentivano nitidamente, oltre al ripetuto pianto della voce femminile. Sul lato A, una voce con leggero accento straniero leggeva una richiesta di scambio tra la Orlandi e Alì Agca, l’attentatore del Papa.  

Fanno sentire il nastro al padre e allo zio di Emanuela: certo, le urla deformano la voce, ma, ricorda Pietro Orlandi “c’erano due-tre frasi dette con tono normale – in particolare ‘mi lasci dormire’ che davvero gli sembrarono la voce di Emanuela”. Natalina, sua sorella, invece, non la riconobbe e nemmeno l’amica Raffaella Monzi.

Lo esamina il Sismi (uno dei nostri Servizi dell’epoca, quello militare) il giorno dopo, 18 luglio e il Sisde (quello civile) il 25 e dicono: si sentono le voci di tre uomini che abusano. Uno dei due si spinge oltre e dice che la voce femminile è compatibile con quella di Emanuela.

La esamina la Scientifica e il 30 luglio dice: tranquilli, non può essere Emanuela, sentiamo gli stacchi e gli attacchi di un proiettore, quindi è senz’altro un montaggio di film porno. Dissero che era “lo scherzo di qualche mitomane“, ricorda Pietro Orlandi. Ma la Scientifica non sente le voci maschili e non dice come si chiama il film. Per il sottoscritto, si tratta di una valutazione svolta con strumenti tecnici inadeguati rispetto a quelli dei Servizi – e svolta con approssimazione.

Quell’audio, che potete ascoltare qui, tutto è infatti tranne che un film porno, le urla della voce femminile sono troppo agghiaccianti per una recita concordata. Tutte le analisi concordano su un punto: le sevizie sono avvenute in un ambiente urbano, se ne sentono i tipici rumori.

Per anni questo nastro si inabissa. Gli Orlandi per molto tempo non sapranno che uno dei Servizi ha riconosciuto la voce in quella, probabilmente, di Emanuela. 2016: la ascolta Pietro Orlandi per la prima volta e riconosce la sorella.

2023. Pietro Orlandi incarica due periti fonici

Sono Paolo Dal Checco e Marco Perino, devono esaminare quell’audio. Attenzione: non la versione originale analogica, ma la sua copia digitale. Che non è la stessa cosa.  Dicono, per ora, che ci sono evidenti analogie tra la fine del lato A e l’inizio del lato B, ci sono tagli all’inizio del lato B che si ripetono alla fine del lato A.

Insomma, l’audio sembra essere composto da una serie di nastri montati tra loro. Potrebbero essere le tracce di tagli fisici, di giuntature da una iniziale unica registrazione A parere di chi scrive, potrebbe anche trattarsi invece di nastri diversi, montati tra loro. Ma è solo avendo il nastro analogico originale che si potrebbe dirlo…

Già, ma dov’è quel nastro? E quanto dura davvero? Alla prima domanda il giornalista Tommaso Nelli risponde – così ha detto nei suoi interventi sul caso – che l’audiocassetta originale c’è e l’ha ascoltata in Procura. È la numero 6, di cui ha pubblicato la foto del contenitore qui.  Pietro Orlandi invece sostiene che negli archivi della Procura, cui anche lui ha avuto accesso, “quell’originale non c’è”.

Alla seconda domanda, chi scrive vi dice che la versione che circola attualmente è quella da 3-4 minuti. Le voci maschili ci sono ma davvero flebili, lontane, sporche, difficili da individuare. Una dice la misteriosissima frase “vogliam tràvel”, cui nessuno finora ha potuto dare un senso compiuto. Ma Perino e Dal Checco oggi l’hanno analizzata a puntino: la voce dice “vogliamo andare là”. Ma che vuol dire? Messo così, niente. Anche questa, uno spezzone audio appiccicato lì. Riascoltata e depurata, anche la frase “sto svenendo” in realtà diventa “stai più in alto”.

L’audiocassetta da 8 minuti

Ma Pietro Orlandi dice anche altro: “L’audio da 8 minuti? Esiste e ce l’ho, ma non è molto più lungo, si tratta di quello da 3-4 minuti ripetuto due volte, solo dura qualcosa in più, e qui le voci maschili si sentono bene”.  Esiste quindi una seconda versione di questo audio drammatico. Si tratta di un’audio presente in Procura, ma di cui la Procura stessa sembra non essere a conoscenza, visto che durante l’ultima inchiesta, “l’allora Procuratore Capaldo mi disse che l’unico audio che loro avevano era quello da 3-4 minuti, in cui appunto le voci maschili non si sentono”. A questo punto viene in mente un dubbio a Pietro: perché prima che lui trovasse l’ “audio lungo” è circolato solo quello dove, guarda caso, le voci maschili dei violentatori o torturatori non si sentono? C’era dunque l’intenzione di coprire qualcuno? E perché non si trovano le audiocassette originali di nessuna delle due versioni?

Tommaso Nelli sostiene che la versione integrale, quella da 8 minuti, non esiste perché non è agli atti di nulla, non se ne parla in alcun documento, non si trova in Procura, che se qualcuno voleva coprire qualcosa, di nessuno di quei nastri oggi dovrebbe esserci traccia. Forse però c’è una risposta più semplice a tutto.

Una possibile spiegazione

In quei convulsi giorni di un luglio lontano, circolano copie del nastro per tutti gli enti che l’esamineranno. La versione da 3-4 minuti potrebbe essere la copia di una copia dell’originale che, ascoltato con apparecchiature diverse, ha fatto sì che Polizia e Servizi dessero risultati diversi. Una copia della copia, come afferma Capaldo, dove qualcuno si è messo ad accorciare il nastro originale per togliere le parti che -a suo avviso – erano inutili ai fini dell’accertamento (pianti, voci maschili) che si doveva compiere: stabilire se quella audiocassetta fosse o no attendibile. Forse nessuno ha voluto coprire niente, forse è -anche – una questione di decine di faldoni e scatoloni che conservano il caso Orlandi e di confusione, tanto che nemmeno la Procura sapeva di avere a disposizione la “versione lunga” e migliore dello stesso nastro.

Se d’altronde qualcuno avesse voluto coprire le voci maschili, beh, non avrebbe dovuto far avere affatto quel nastro all’Ansa, nastro dove comunque le tre voci maschili ci sono e alla fine si sentono, anche con la tecnologia del 1983.

La cosa più importante è che i nuovi periti degli Orlandi e la Procura, con i mezzi di oggi, dicano se quella voce è davvero di Emanuela. Ma tutto quello che Perino e Dal Checco possono dire, a oggi, è che la voce è compatibile con quella della Orlandi. Che non vuol dire uguale. Almeno fino a che non salti fuori l’audiocassetta originale.

Foto di Namroud Gorguis su Unsplash

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