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Separazione delle carriere dei magistrati: che cosa significa e cosa comporta

Il Governo discuterà prima della pausa estiva la possibile separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri. Intanto continuano le proteste delle toghe che chiedono di preservare il principio di unicità della giurisdizione.

Prima della pausa estiva, il Governo discuterà in una riunione il tema della separazione delle carriere dei magistrati. Ad annunciarlo è il Ministro della Giustizia Carlo Nordio, contro la cui revisione si schiera l’Associazione nazionale magistrati (Anm), fermi sostenitori dell’unicità della giurisdizione.

La figura del giudice in Italia

In Italia il giudice del settore penale può ricoprire la funzione requirente, svolta dal pubblico ministero, o la funzione giudicante. I primi svolgono indagini, raccolgono prove e rappresentano l’accusa durante un processo, mentre i secondi decidono le controversie.

Si tratta in entrambi i casi di figure super partes, indipendenti e autonome. Questo sistema, nato dopo la Seconda guerra mondiale per opera dei padri costituenti, mira a evitare qualsiasi coinvolgimento dei magistrati nell’attività politica.  

Nonostante la media di trasferimenti da una funzione all’altra dal 2006 ad oggi sia di 50 magistrati all’anno, e di 21 nel 2022, il Governo intende proseguire con la sua proposta di divisione delle carriere di pubblici ministeri e giudici.  

Con gli interventi normativi introdotti dalla riforma Castelli del 2006, passare da una funzione all’altra era già difficoltoso. Basti pensare che tra il 2011 e il 2016 la percentuale riguardava lo 0,21% dei giudici requirenti e lo 0,83% di quelli giudicanti. La situazione si è ulteriormente complicata nel 2022 con la riforma Cartabia, che ha reso questo passaggio ancora più marginale.

Separazione delle carriere: la posizione dell’Associazione nazionale magistrati

Il Pubblico Ministero non è un “avvocato dell’accusa”, ma un giudice che ha come scopo quello di perseguire la ricerca della verità, raccogliere prove e garantire che la giustizia faccia il suo corso.

In Italia in passato hanno ricoperto entrambi i ruoli figure autorevoli. Tra tutti, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone.

Per l’Associazione Nazionale dei Magistrati (ANM), appartenere ad un unico corpo professionale è un obbligo morale da “preservare, coltivare e valorizzare”. Questo perché occorre che il pubblico ministero possa operare secondo legge, senza che si preoccupi degli esiti favorevoli dei processi stessi.

Anche negli Stati Uniti, ad esempio, la quasi totalità dei giudici della Corte Suprema ha svolto funzioni di pubblico ministero. Allo stesso modo, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa già nel 2000 suggeriva a tutti i Paesi di poter esercitare entrambi i ruoli.

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