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Quando la violenza supera il limite: la crudeltà nel diritto penale italiano

La sentenza Turetta rappresenta un’importante applicazione dei principi consolidati in materia di crudeltà nel diritto penale. La Corte ha correttamente evidenziato come, nonostante l’indubbia efferatezza del delitto, l’aggravante della crudeltà richieda elementi ulteriori e specifici, che devono essere provati oltre ogni ragionevole dubbio.

L’inquadramento normativo della crudeltà nel diritto penale sostanziale

La crudeltà nel diritto penale italiano trova la sua principale collocazione nell’art. 61, comma 1, n. 4 c.p., che la prevede come circostanza aggravante comune insieme alle sevizie. La norma si applica quando l’agente ha “adoperato sevizie, o ha agito con crudeltà verso le persone”.

La natura giuridica dell’aggravante della crudeltà

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente qualificato l’aggravante della crudeltà come circostanza di natura soggettiva. Come evidenziato dalla Cassazione n. 39702/2024, essa sussiste quando la condotta eccede rispetto alla normalità causale, determinando sofferenze aggiuntive ed esprimendo un atteggiamento interiore specialmente riprovevole.

Gli elementi costitutivi dell’aggravante della crudeltà

Elemento oggettivo

L’elemento oggettivo dell’aggravante consiste in una condotta che: eccede rispetto alla normalità causale del delitto, determina sofferenze aggiuntive non necessarie al raggiungimento dello scopo criminoso e si manifesta attraverso modalità esecutive particolarmente efferate

Elemento soggettivo

L’elemento soggettivo richiede un atteggiamento interiore particolarmente riprovevole, la consapevolezza di infliggere sofferenze aggiuntive e l’assenza di sentimenti di pietà che contraddistinguono l’uomo civile

La distinzione fra sevizie e l’aggravante della crudeltà

Le sevizie richiedono una condotta studiata e specificamente finalizzata a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite, laddove, invece, la crudeltà si realizza quando l’inflizione di un male aggiuntivo denota la spietatezza della volontà illecita, anche senza una specifica pianificazione

I criteri di accertamento dell’aggravante della crudeltà

Nel delitto di omicidio sono presenti, secondo la giurisprudenza, specifici elementi sintomatici della crudeltà, vale a dire:

  • il numero e la localizzazione dei colpi inferti quando la vittima è ancora in vita
  • l’assenza di segni di difesa
  • la prosecuzione dell’azione lesiva nonostante i lamenti della vittima
  • la consapevolezza della morte imminente e l’impossibilità di ricevere aiuto

e l’accertamento dell’aggravante deve considerare l’intero sviluppo dell’azione criminosa, le modalità di utilizzo dei mezzi lesivi, la loro reperibilità occasionale o predisposta, l’eventuale resistenza opposta dalla vittima.

La giurisprudenza ha elaborato criteri precisi per il suo accertamento, richiedendo sempre una prova rigorosa della volontà di infliggere sofferenze ulteriori rispetto a quelle necessarie per la consumazione del reato base.

L’aggravante della crudeltà nel caso Turetta

La recente sentenza della Corte di Assise di Venezia nel caso Turetta offre l’occasione per un’approfondita analisi del concetto di crudeltà nel diritto penale italiano, con particolare riferimento alla sua configurazione come circostanza aggravante comune prevista dall’art. 61, comma 1, n. 4 del Codice penale.

L’analisi della sentenza Turetta in relazione all’aggravante della crudeltà. Perché la Corte l’ha esclusa

La Corte d’Assise di Venezia, nella sentenza sul caso Turetta, ha escluso l’aggravante della crudeltà sulla base di una rigorosa applicazione dei principi giurisprudenziali consolidati. In particolare, la Corte ha evidenziato che:

a) sulla reiterazione dei colpi: il numero elevato di coltellate (settantacinque) non è di per sé sufficiente a integrare l’aggravante atteso che la giurisprudenza esclude automatismi basati sul mero numero di colpi inferti. L’azione, benché efferata, non è stata dettata da una deliberata scelta di provocare sofferenze aggiuntive

b) sulla dinamica dell’azione: i colpi sono stati inferti in rapida sequenza e quasi alla cieca, la modalità dell’azione sembra più conseguenza dell’inesperienza dell’agente che di una volontà di infliggere sofferenze gratuite, l’azione appare finalizzata unicamente a causare la morte, senza un’autonoma volontà di provocare patimenti ulteriori

Il confronto con la giurisprudenza di legittimità in tema di aggravante della crudeltà

La decisione della Corte d’Assise si allinea con l’orientamento della Cassazione, secondo cui la riprovevolezza aggiuntiva deve riguardare l’azione e non l’autore: si infligge una pena più severa perché la condotta è efferata e non perché l’agente è una persona crudele.

La Corte ha correttamente evidenziato che non sono sufficienti a integrare l’aggravante l’utilizzo del nastro adesivo per bloccare e silenziare la vittima, in quanto funzionale al delitto, la durata complessiva dell’aggressione (circa venti minuti), in assenza della prova che il prolungamento dell’angoscia sia stato deliberatamente voluto e l’assenza di tentativi di soccorso, che secondo la sentenza n. 41875/2024 non può essere assimilata alla crudeltà.

La prova dell’aggravante della crudeltà

La Corte ha posto particolare enfasi sul requisito probatorio, ricordando che l’aggravante deve essere provata oltre ogni ragionevole dubbio e che l’aggravante sussiste quando la condotta eccede rispetto alla normalità causale, determinando sofferenze aggiuntive ed esprimendo un atteggiamento interiore specialmente riprovevole.

La distinzione tra efferatezza e crudeltà

Un aspetto cruciale della sentenza è la distinzione tra l’efferatezza dell’azione e la crudeltà come aggravante. Infatti, non ogni azione efferata integra automaticamente l’aggravante della crudeltà, essendo necessario dimostrare la specifica volontà di infliggere sofferenze ulteriori e non necessarie rispetto al fine omicidiario.

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