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NDE, tornare alla vita dopo il coma: cosa accade durante un’esperienza pre-morte?

Con l’espressione esperienze pre-morte, dette anche near death experiences (NDE) si intendono le esperienze sensoriali vissute da chi si è trovato in bilico tra la vita e la morte. Ma in cosa consistono le NDE? E cosa dice la scienza in merito?

Chi si risveglia dal coma racconta spesso di un viaggio lucido e misterioso, contrassegnato da caratteristiche comuni a chi si è trovato nella stessa situazione, a prescindere dal credo religioso, dall’area geografica, dal genero o dall’estrazione sociale.

La stessa scienza ha indagato le NDE e non ha potuto che confermare che in quel momento specifico in cui ci si trova a un passo dalla morte accade qualcosa di misterioso, che però non può essere relegato alla sfera del mistico o dell’allucinatorio.

Abbiamo indagato il tema con Elisa Origi, autrice del libro “Il battito periodico delle palpebre” (Giacovelli Editore) che riporta l’esperienza pre-morte vissuta da Francesca e che per scrivere di questo argomento ha a lungo studiato il tema.

Nella fase preparatoria del romanzo è stato dedicato molto tempo alla documentazione di quanto pubblicato sulle NDE. Volendo dare una definizione, in che cosa consistono queste esperienze?

Sono molto contenta che qualcuno mi chieda di questa fase “preparatoria”. Perché coincide con il periodo di rielaborazione del mio lutto, iniziata con la dolorosa e drammatica perdita di mio padre. Nessuno ha mai voglia di fare i conti con l’idea del morire; neanche quando avviene assecondando in modo naturale le fasi della vita per cui diventa più prevedibile, superati i 40 anni, perdere un genitore. Rimandi così l’idea, pensi che la fine sia in fondo un argomento assai triste. E non arrivi a realizzare che nell’idea cha hai del Dopo c’è tutto il significato che dai al tuo Adesso. Non avevo fede, e in quanto a profondità spirituale, non possedevo rifugi.

Mi ha salvata ciò che Piero Calvi Parisetti chiama una fede razionale nell’Aldilà. Perché, se appena ti documenti sulle Near Death Experience, se appena ti avvicini alla serietà con cui sempre più scienziati approcciano il tema della coscienza, allora non dico che inizi a credere, ma insomma: qualche domanda in più te la poni, specie se sei disposto ad abbandonare l’ideologia ottusa e stolida del materialismo fisico.

In un lampo quantico approdi alla metafisica della coscienza e comprendi che la sopravvivenza della nostra personalità allo spegnimento del corpo fisico ha più di qualche base. Ma l’argomento, me ne rendo conto, è sempre ostico per chi si approccia al tema per la prima volta, senza alcuna voglia, comprensibilmente, di lasciarsi raccontare belle favolette. Lo comprendo. L’ho pensata così anche io.

Poi ho letto Raymond Moody, quello della “Vita oltre la vita”. Da lì non mi sono più fermata, come sgranando un rosario laico: ne cito solo qualcuno, in forma sparsa: Elisabeth Kübler-Ross, Pim Van Lommel, Kenneth Ring, Penny Sartori, Enrico Facco, Sam Parnia, Bruce Greyson, Eben Alexander, Federico Faggin. E poi Piero Calvi Parisetti, che dalla Scozia ha apprezzato la storia che ho raccontato nel mio ultimo romanzo, firmandone la prefazione.

Come si possono spiegare a livello neurofisiologico e a quali conclusioni è arrivata oggi la scienza in merito?

Non sono una scienziata e non ho nemmeno una formazione STEM. Avrei voluto studiare medicina e sono approdata a lettere. Ma mi è rimasta una grande sete di sapere scientifico che mi ha permesso almeno di comprendere come la scienza non abbia ancora risposte definitive per tutte quelle persone che, come la Francesca di cui narro ne “Il battito periodico delle palpebre”.

Si tratta di persone che hanno sfiorato la loro fine, ma sono sopravvissute e hanno riportato indietro visioni eccezionali. Una cosa pare certa, tuttavia: non si tratta di allucinazioni, di incubi o di effetti dovuti a medicinali. Perché, se così fosse, ciascuno porterebbe con sé una soggettività di percezione che invece si scontra con gli elementi che sono comuni nelle narrazioni: la sensazione di incontrare una luce confortante, in grado di far sentire la persona amata e non giudicata, per esempio. La possibilità, data ad alcuni, di passare in rassegna tutta la propria esistenza, cogliendo il segno del Bene e del Male compiuti. E ancora: l’incrollabile certezza di essere stati in un posto più reale della realtà in cui ci muoviamo, un po’ il contrario di ciò che accade quando ci risvegliamo da un sogno e comprendiamo l’effetto diafano delle immagini proiettate dal nostro subconscio. Ora Francesca racconta infatti, attraverso le mie pagine: io non credo, io so. Che cosa sa Francesca? Che la vita non termina con il nostro percorso biologico, che siamo in evoluzione continua, ma che nessuno, neanche la scienza, ha prove di nulla. Le prove si fanno dopo le operazioni di matematica.

Quali sono le caratteristiche comuni a chi vive questo tipo di esperienza?

Oltre a quelle già citate, porrei l’attenzione sul sistema valoriale dei Ritornati: nessuno ha più paura della morte, per esempio. Resta il timore del dolore, certo, ma tutti sono certi che la fine non segni che una svolta, un passaggio verso una dimensione finalmente più libera, nella quale potremo portare con noi soltanto due cose: la conoscenza e l’amore provato e dispensato. Nulla, ovviamente, di materiale. Ed è per questo che le persone rigettano ogni prospettiva di vita materialista, sviluppano empatia per le persone e un’etica spesso attenta anche alle questioni ambientali, consci come sono dell’interconnessione perpetua tra gli esseri viventi.

Sono esperienze rare oppure sono un certo numero le persone NDE in Italia e nel mondo?

Negli studi sulla sopravvivenza della coscienza contano le evidenze. E il plurale di evidenza è “dati”. Il 10% di chi si trova sul punto di morire è cosciente. Il 66% di questo 10 riporta esperienze di vita ai confini della vita. E infatti non c’è presentazione del mio libro in cui qualcuno non mi si avvicini per raccontare un aneddoto, vissuto in prima persona o riportato. E gli aneddoti, quando di parla di NDE, sono profondamente trasformativi rappresentando, per chi ama scrivere, del materiale di incantevole bellezza e profondità umana.

Lo studio AWARE (AWAreness during REsuscitation), guidato da Sam Parnia, è la più ampia ricerca mai condotta sulle esperienze di pre-morte e sulla consapevolezza durante l’arresto cardiaco. Pubblicato nel 2014, ha coinvolto oltre 2.000 pazienti in 15 ospedali tra Regno Unito, Austria e Stati Uniti.​ Su 2.060 casi di arresto cardiaco, 140 pazienti sono sopravvissuti e 101 hanno completato le interviste. Il 46% ha riportato ricordi dell’arresto cardiaco: visioni di luci intense, incontri con familiari e percezioni di eventi successivi all’arresto. Il 2% ha descritto esperienze extracorporee, con consapevolezza dell’ambiente circostante durante la rianimazione.

Dopo il risveglio cambia qualcosa in chi ha vissuto una NDE nell’approccio agli altri, alla vita, al denaro, la lavoro, alla giustizia? Insomma, c’è una trasformazione a livello comportamentale o di personalità?

Cambia tutto, direi. Le persone che hanno vissuto una NDE riportano cambiamenti profondi e duraturi nella personalità e nei valori; maggiore apprezzamento per la vita: anche le cose più semplici diventano significative. E ancora: crescita del senso spirituale, sviluppando una connessione con qualcosa di “più grande”. Molti cambiano professione per seguire una “vocazione” più in linea con i nuovi valori. Alcuni sviluppano abilità intuitive o creative che prima non avevano.

Non dimenticherei, tuttavia come alcuni sperimentino difficoltà nel reintegrarsi nella vita quotidiana, in una sorta di crisi esistenziale a volte disorientante. Non sono pochi i casi delle persone che affrontano un divorzio dopo un’esperienza del genere, proprio a causa del cambiamento a cui va incontro la propria personalità. Infine, vorrei sottolineare il coraggio di chi, come Francesca, ha reso pubblica un’esperienza così intima: il rischio di passare per visionari è alto. Non meno per chi, come me, ha scelto di raccontarlo e di farne materia di scrittura.

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