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Marina Baldi: cosa fa e non fa la genetica forense

La genetista che si è occupata di casi come il delitto dell’Olgiata, Melania Rea, Pamela Mastropietro parla delle criticità della formazione, dei legami che nascono con le famiglie delle vittime e del futuro.

Qual è il ruolo della genetica forense nelle indagini? Cosa fa, cosa non può fare il genetista sulla scena del crimine?

Il genetista che interviene sulla scena del crimine ha un ruolo molto importante per tutto l’iter analitico: l’attività consiste nell’individuare e campionare tracce di presunta origine biologica in modo corretto per consentire il rispetto della catena di custodia, che altro non è che la documentazione specifica che descriva “chi ha fatto cosa”, consentendo di controllare che nessuno abbia potuto manipolare i reperti. Ciò che giunge in laboratorio per l’analisi vera e propria deve essere conforme a quanto prelevato in sede di sopralluogo, e tale congruità viene controllata mediante fotografie dei reperti e delle confezioni sigillate da effettuare sia a momento del confezionamento, sulla scena del crimine, che al momento della consegna in laboratorio, quando comincia la vera e propria analisi del DNA.

Il lavoro che si compie in questa fase è un lavoro di squadra ed è importante che siano presenti rappresentanti di tutte le branche della criminalistica per poter valutare insieme l’utilità di una traccia e la modalità migliore per campionarla, in modo da poter rendere possibile anche più di una tipologia di analisi rullo stesso reperto.

Qual è stata la prima volta che la genetica forense è stata usata nelle indagini, nel nostro Paese?

La genetica è in continua evoluzione, e anche prima degli anni ‘90, quando si utilizzavano solo i gruppi sanguigni, in fondo si trattava di test genetici. I primi casi in cui si sono cominciati ad utilizzare i polimorfismi HLA risalgono alla fine degli anni ’80. Nel 1985 Alex Jeffrey ne descrive per primo l’esistenza e nel 1987 i reperti dell’omicidio di Lidia Macchi furono inviati in Inghilterra per le analisi di RFLP, che si usavano all’epoca.

Successivamente nei famosi casi di Via Poma e dell’Olgiata vi furono i primi tentativi di utilizzare il DNA, test che all’epoca era ancora molto grossolano e poco sensibile. Ed ora, ormai da diversi decenni, l’analisi che si utilizza è sempre la stessa, con variazioni e migliorie che riguardano il numero dei marcatori esaminati e la sensibilità, ma di fatto è un test in uso già da tanto tempo nei laboratori di genetica forense.

Di quali casi ti sei occupata finora nella tua carriera e qual è quello che ti ha dato la maggior soddisfazione professionale?

I casi sono tanti, la maggior parte  di questi non sono noti al pubblico, ma tra i casi più famosi c’è stato il delitto dell’Olgiata, il delitto di Avetrana (solo in una prima fase), l’omicidio di Melania Rea, di Pamela Mastropietro, di Noemi Durini e molti altri. Ognuna di loro è nel mio cuore e ognuna delle famiglie delle vittime ha per me un legame di amicizia indissolubile. Si crea, nel corso delle attività un rapporto speciale, che diviene indissolubile.

Anche quando si viene nominati per un indagato le attività sono molto coinvolgenti. Ogni consulente professionista sa come deve comportarsi e sa che deve individuare ogni dettaglio che possa chiarire la posizione del cliente, senza però inventare o forzare la mano. Ognuno ha diritto alla migliore difesa possibile, ma il consulente deve mantenere la posizione di correttezza, comunicando solo ciò che è reale. Non è facile, le pressioni a volte sono molte, ma si impara con il tempo come far capire a chi ci incarica la proprio atteggiamento professionale.

A che livello è la formazione in Italia per il tuo settore? Quale percorso formativo per chi vuole intraprendere questo lavoro nelle scienze forensi?

La formazione ha parecchie criticità. C’è tantissima offerta di corsi, alcuni estremamente validi, altri tenuti da persone senza esperienza che leggono qualche documento online e si dichiarano esperti. Bisogna quindi stare molto attenti e seguire corsi universitari o corsi di comprovata serietà, e credimi, non sono molti…

È quindi utile controllare i curricula dei docenti, e anche che esperienza (vera!) possono vantare.

A che punto è la ricerca circa la possibilità di individuare caratteristiche genetiche criminogene nell’essere umano?

A buon punto, già si riescono ad individuare alcune caratteristiche somatiche, come il colore degli occhi e il colore dei capelli, inoltre si riesce ad individuare l’etnia di un individuo. Al momento non è ancora completamente utilizzato ed utilizzabile, ma questo approccio analitico tra pochi anni sarà certamente importantissimo e  si riusciranno ad avere molte più informazioni, ricostruendo l’identikit biologico che aiuterà a scoprire caratteristiche somatiche dell’individuo, a prescindere dalla necessità di comparare con qualcuno il profilo ottenuto dal reperto.

Foto di Sangharsh Lohakare su Unsplash

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