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Diritto all’oblio: cos’è e come si può esercitare

Il diritto all’oblio risponde all’esigenza da parte dell’interessato di far rimuovere informazioni personali di pubblico dominio. Il primo caso giurisprudenziale italiano che riguarda il diritto all’oblio risale al 1995. Oggi con Internet questo problema diventa ancora più complesso.

Diritto all’oblio: cosa significa e quando nasce

Il diritto all’oblio viene esercitato da un soggetto che desidera obliare (o meglio, far rimuovere) delle informazioni personali di dominio pubblico, ritenute lesive o che semplicemente non rappresentano più la sua identità.

In sintesi, il soggetto che si appella al diritto di oblio richiede che le suddette informazioni (come articoli di giornale, foto e video) vengano pubblicamente rimossi. In questo senso, il diritto all’oblio è equiparabile al diritto alla cancellazione che è una conseguenza logica del primo.

Il primo caso giurisprudenziale italiano che ha condensato il concetto di diritto all’oblio, così come lo conosciamo oggi, risale al 1995 quando il Tribunale di Roma emise una sentenza relativa a un articolo del Messaggero che riportava fatti di cronaca non più coerenti con il principio di utilità sociale dell’informazione, ma al contempo profondamente lesivi della sfera personale del protagonista di quella narrazione.

All’epoca, però, le informazioni circolavano soltanto su carta stampata e Tv, oggi invece ci ritroviamo in un’epoca in cui l’informazione viaggia molto più velocemente e può arrivare ovunque.

Essere dimenticati nell’era del World Wide Web

Con l’avvento di Internet, l’esplosione dei social e degli altri mezzi di comunicazione digitali, esercitare il diritto all’oblio risulta sempre più complesso e problematico.

Rimuovere un contenuto dalla fonte originaria, ossia chi l’ha divulgata, come nel caso dell’articolo pubblicato sul Messaggero, è un’operazione contenuta, limitata. Il problema si pone invece nel momento in cui questa informazione sfugge di mano alla fonte originaria e viene condivisa, divulgata da parti terze.

È quello che accade ogni giorno sui social e sul web. Chiunque può diffondere informazioni e contenuti, che, come abbiamo visto nel corso degli anni, possono diventare virali in un batter d’occhio. Oltre a essere memorizzate, duplicate e condivise, l’aspetto cruciale di questo problema è che tali informazioni permangono, restano da qualche parte su Internet.

A questo si aggiunge che il diritto all’oblio entra in contrapposizione con altri diritti fondamentali della Costituzione italiana. Come ad esempio il diritto alla memoria, il diritto all’informazione e il diritto alla libertà di espressione, rendendo la questione ancora più complessa.

Cosa dice il GDPR

Il Garante della privacy italiano si è occupato per la prima volta del diritto all’oblio nel 2004 e successivamente nel 2008 e nel 2010, nello specifico in relazione alla pubblicazione online degli archivi storici dei giornali. Tuttavia, per avere definitivamente una norma apposita sul diritto all’oblio si è dovuto aspettare il 2018 con l’entrata in vigore del “Regolamento europeo per la protezione dei dati personali”.

All’art. 17 c. 1 del GDPR si afferma che il diritto all’oblio e alla cancellazione dei dati è applicabile quando:

  • i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per i quali sono stati raccolti;
  • l’interessato revoca il consenso al trattamento dei dati personali oppure revoca il consenso al trattamento di categorie particolari di dati;
  • l’interessato ha esercitato il diritto di opposizione al trattamento e non sussiste alcun motivo per procedere al trattamento, oppure si oppone al trattamento per finalità di marketing diretto, inclusa la profilazione;
  • i dati personali sono stati trattati illecitamente;
  • i dati personali devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o dello Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento;
  • i dati personali sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione e trattati sulla base del consenso di un minore (laddove il minore abbia almeno 16 anni di età), o del consenso prestato o autorizzato dal titolare della responsabilità genitoriale (laddove il minore non abbia almeno 16 anni).

Come esercitare e adempiere al diritto all’oblio

La pretesa di cancellazione dei dati da parte dell’interessato al trattamento è una conseguenza del verificarsi di una delle situazioni previste dall’art. 17 c. 1 del GDPR.

L’azienda titolare del trattamento deve procedere spontaneamente e automaticamente alla cancellazione dei dati personali che riguardano un individuo se si verifica una delle situazioni elencate nell’art. 17 c. 1 del GDPR, a prescindere dall’esercizio del diritto da parte dell’interessato.

La cancellazione dev’essere effettuata senza giustificato ritardo (entro un mese previsto per il riscontro) e a titolo gratuito, salvo nel caso in cui l’azienda dimostri che la richiesta è infondata. L’interessato ha comunque la facoltà di procede con una richiesta di cancellazione.

In caso di richiesta di cancellazione, ogni azienda dovrebbe verificare l’applicabilità del diritto all’oblio coinvolgendo altri soggetti, come un referente legale, un referente IT e un referente privacy. Che il diritto sia applicabile o meno, l’azienda deve comunque informare l’interessato sull’esito della valutazione. Nel caso in cui il diritto fosse applicabile deve provvedere immediatamente alla cancellazione delle informazioni in oggetto.

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