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Delinquenza e controllo sociale: analisi della teoria dell’autocontrollo di Gottfredson e Hirschi

Le teorie del controllo sociale utilizzano un approccio diverso in quanto soffermano l’attenzione sul perché le persone rispettino le regole e pongano in essere comportamenti conformi e non devianti.

Con il declino delle teorie dell’etichettamento e l’ascesa delle posizioni radicali proprie delle teorie del conflitto, molti autori tra cui Emile Durkheim iniziarono a studiare la criminalità partendo dal controllo sociale, attraverso la diffusione dei concetti di socializzazione e personalità.

Le teorie del controllo sociale attribuiscono le cause della delinquenza a fattori di carattere sociologico come la famiglia, il gruppo dei pari e il livello di istruzione.

Il punto di partenza di questo studio è l’abbandono della concezione negativa che considera l’uomo tipicamente incline a delinquere cercando di comprendere, invece, quali possono essere i fattori che ostacolano gli individui nel mettere in atto comportamenti devianti e delinquenziali. Alcune teorie del controllo sociale, infatti, rimandano ad una concezione della natura umana simile a quella pessimista di Thomas Hobbes. La componente apprezzabile e comune a tutte queste teorie rappresenta il tentativo di provare a spiegare i fattori che impediscono agli individui di divenire criminali o delinquenti.

Una versione più recente della teoria del controllo sociale è quella elaborata da Michael Gottfredson e Travis Hirschi, nota come “teoria dell’autocontrollo“. Secondo i due autori occorre partire da un punto di vista diverso per l’analisi del crimine, ossia bisogna osservare il delitto cercando di cogliere quali possano essere le caratteristiche che spingano gli individui a porre in essere comportamenti devianti e criminali.

Hirschi interpreta la delinquenza come conseguenza della perdita dei legami tra il soggetto e le istituzioni: il controllo sociale sui propri comportamenti perde di forza. L’attaccamento funziona come la base per l’interiorizzazione delle norme sociali.

Secondo i due sociologi bisogna partire da un punto di vista diverso, ovvero osservare il crimine e le sue caratteristiche e individuare cosa spinge gli individui a porre in essere comportamenti devianti e criminali. Il reato non è più un fatto generale ma circoscritto, in quanto presuppone un certo numero di condizioni necessarie e non esiste una categoria più propensa di un’altra a compiere atti criminali. La predisposizione al commettere un reato non nasce da motivazioni o bisogni specifici ma dalle pulsioni di tipo egoistico degli individui e il fattore che può essere limitante è proprio l’autocontrollo che inibisce le pulsioni e fa sì che il soggetto ponga in essere un comportamento conforme.

L’autocontrollo è una caratteristica individuale che non viene ereditata biologicamente, ma viene appresa nei primi dieci anni di vita poiché fin da piccoli gli esseri umani hanno una forte pulsione a soddisfare i propri desideri.

Sono prima di tutto le sanzioni naturali a formare l’autocontrollo dei bambini (ad esempio scottarsi toccando il termosifone nonostante la mamma si raccomandi di non farlo).

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