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Vittimizzazione secondaria, quando una donna è vittima due volte. Intervista alla Dottoressa Marika Perli

La vittimologia è una branca della criminologia che studia la tipologia delle vittime di un reato. È una disciplina relativamente recente, sebbene i suoi contributi siano stati ampiamente utilizzati.

La figura della vittima di violenza è stata per troppo tempo sottovalutata o comunque oggetto di scarsa attenzione. Ecco perché l’importanza di mettere in luce la vittima, identificandola non esclusivamente come un soggetto passivo che subisce il reato ma come una presenza in grado di incidere significativamente nella dinamica criminale, è uno degli obiettivi della vittimologia.

Vittimizzazione primaria e secondaria. Il ruolo del reato e le conseguenze nella donna. Che cosa significa tutto questo? Ho intervistato a tal proposito la Dottoressa Marika Perli Psicologa, psicoterapeuta, criminologa e vittimologa per approfondire questo delicato argomento, troppo spesso sottovalutato.

Dottoressa Perli, che cosa si intende con il termine Vittimizzazione?

Parto da un concetto essenziale, l’attenzione di noi vittimologi è quella di porre la vittima al centro dell’attenzione, qualsiasi sia il suo vissuto. Il termine vittimizzazione specifica ciò che accade alla vittima nel momento in cui è oggetto di un reato o di un’azione che lede il suo benessere e che può essere psicologica o fisica. Per vittimizzazione si intende anche ciò che accade alle persone che sono intorno alla vittima e in questo caso si parla di vittimizzazione indiretta.

Quali conseguenze possono essere concepite sulla vittima da un agito criminale?

Sicuramente nell’immediato un disturbo post traumatico da stress, che fa scattare comportamenti collaterali della paura. In seguito possono legarsi stati depressivi e traumi, che si trasformano in varie particolarità come l’impossibilità di parlare di questo argomento dopo anni e non riuscire ad elaborare il trauma vissuto. Basti pensare agli abusi sessuali che a volte vengono denunciati a distanza di anni, questa incapacità di narrare spesso è presente nelle vittime che hanno subito violenza ed è una condizione normale. Lo stato di vittima non è solo subire un torto, ma soprattutto riconoscere di averlo subito e quindi chiedere un sostegno dall’esterno. Posso riconoscere di essere vittima quando capisco che ciò che subisco non va bene ed è un percorso molto personale e delicato, soprattutto quando parliamo di violenze intrafamiliari.

Lo studio della vittimologia è recente e attira molto l’attenzione. Perché non si è mai approfondito il tema?

Quando parliamo di vittima, identifichiamo una persona che ha subito un trauma che inevitabilmente si porta dietro dolore. Il cambio di passo è stato fatto negli ultimi anni, non tanto per il recente studio della vittima, ma per il punto di vista differente da cui si osserva tale situazione. Strutturare un percorso che possa essere protettivo per quello che la vittima può vivere, onde evitare la vittimizzazione secondaria che può sussistere nel momento successivo del reato.

Alla luce di tutto questo possiamo sostenere quanto sia importante, anche in questo ambito, la prevenzione?

Assolutamente. È Un’area importantissima perché permette di rendere consapevoli potenziali rei che quello che vanno a compiere è una vittimizzazione. Tanti comportamenti messi in atto come violenza psicologiche, sono costrutti di una condotta culturale. Non c’è consapevolezza da parte della vittima e talvolta nemmeno in chi la compie. Pensiamo solo a quante ragazze nelle scuole pensano che se il fidanzato è geloso, dimostra affetto o amore. In realtà si cela altro dietro. Una negazione della propria libertà che viene identificata come un gesto d’amore. Ecco perché è importante capire che cosa sia una relazione sana.

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