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“Un dingo ha preso la mia bambina!”

L’attacco di un dingo o un omicidio? Le corti australiane impiegarono anni per rispondere a questa domanda, da cui dipendeva la colpevolezza di Lindy Chamberlain e del marito Michael, in un caso giudiziario che da loro è stato come Cogne da noi. Fu la scienza, alla fine, a risolvere il caso che la polizia aveva complicato con un lavoro fatto male.

Questi i fatti. Il 17 agosto 1980 a Uluru, nei pressi di Ayers Rock, alle 20, sparisce Azaria Chamberlain (2 mesi). La neonata sta dormendo in una tenda da campeggio montata vicino all’area picnic di questa popolare località turistica australiana. I genitori stanno mangiando a pochi metri. Lindy sente piangere nella tenda, si avvicina e scaccia un dingo, un cane selvatico tipico della zona. Entra e Azaria non c’è più. C’è del sangue nella tenda. Il grido di Lindy resta celebre: “A dingo has my baby!”, un dingo ha preso la mia bambina!

Subito scatta una caccia da parte di autorità e altri turisti per trovarla. Siamo in una pianura molto grande, che circonda la grande roccia rossa di Ayers Rock, luogo sacro degli aborigeni, fatta di bassi arbusti e terra. Le tracce dell’animale si perdono nella boscaglia. Ma la bambina non si trova e mai si troverà. Alcune settimane dopo, il pagliaccetto di Azaria viene ritrovata nella tana di un dingo, da un turista.Tra il 1980 e il 1986 verranno svolte tre inchieste, con risultati via via diversi.

La prima coincide con la prima diretta tv di un dibattimento in Australia. La stampa esercita una pressione assillante e scandalistica. Lindy  è bersagliata fin da subito: è combattiva, più che una madre in lacrime e questo stona, appare incomprensibile. Viene criticata la scelta di portare Azaria a 2 mesi in campeggio, quella di darle quel nome ed il corredino nero che indossava, da alcuni indicato come sicura prova di una pista satanica. E nessuno crede che un dingo possa fare una cosa del genere. Soprattutto non può trascinare così lontano una bambina di 4-5 chili. Ma la prima inchiesta scagiona la madre. Siamo a febbraio 1981. La scena del crimine tuttavia non è mai stata esaminata e circoscritta con attenzione. I dubbi restano.

Seconda inchiesta: la polizia osserva che sul pagliaccetto non ci sono segni di morsi dell’animale, né la sua saliva. Lindy viene arrestata. La ricostruzione: Lindy avrebbe portato Azaria in auto e l’avrebbe uccisa, all’interno di un rituale religioso motivato dall’appartenenza sua e del marito alla Chiesa Avventista del Settimo giorno, descritta come uno strano gruppo di bigotti. Lindy avrebbe portato dei fagioli ad uno dei figli e gridato, fingendo la scomparsa della figlia. In seguito, nella notte, si sarebbe disfatta del corpo della figlia nella boscaglia. Ma nessuno l’ha vista uccidere e per tutta la notte è stata circondata da polizia e gente impegnata nelle ricerche. La polizia però insiste.

Il ritrovamento di emoglobina fetale nell’auto fa propendere per l’omicidio e un paio di forbici trovate sempre nel veicolo vengono viste come l’arma del delitto. Nel 1982 i Chamberlain vengono condannati, lei all’ergastolo.

Nel febbraio 1986 il colpo di scena: casualmente, nella tana di un dingo, viene ritrovata la tutina di Azaria, molto sporca di sangue. Nessuno sa spiegare come l’animale avrebbe sfilato la bambina dalla tuta, ma Lindy viene scarcerata. Evidentemente il dingo sapeva farlo. Inoltre: ormai si sono moltiplicate le notizie di loro attacchi a esseri umani, una cosa che nel 1981 non si credeva vera. Attacchi soprattutto a bambini: dunque è possibile.

Ma c’è di più. La scienza è andata avanti. Nel 1986 si sa quello che nel 1981 non si sapeva: e cioè che  la presenza di emoglobina fetale può essere un falso positivo, dovuto – nel caso di presenza in un abitacolo – alla reazione dei reagenti chimici per il sangue umano con lo spray usato per insonorizzare l’abitacolo, ma anche al milkshake o al muco nasale. Quel risultato non provava nulla, insomma. Una terza inchiesta del 1986 scagiona definitivamente i Chamberlain e lei verrà risarcita.

Una campagna mediatica odiosa si era fusa con indagini approssimative e con nozioni scientifiche incomplete. La stessa scienza che aveva condannato Lindy e Michael Chamberlain fu quella che li salvò, dimostrando ancora una volta che bisogna saper fare entrambe le cose: le indagini alla vecchia maniera e quelle di laboratorio.

Foto di Rae Wallis su Unsplash

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