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La storia del Babbo Natale serial killer

È diventato famoso per essere il Babbo Natale serial killer e dopo il serial killer clown, quello militare, quello poliziotto, quello giornalista, non potevamo farcelo mancare.

Bruce McArthur, chi era il Babbo Natale serial killer?

Bruce McArthur interpretava Babbo Natale in un centro commerciale ma della sua proverbiale bonarietà non aveva nulla, se non il fisico da un quintale e la barba bianca. In realtà era un giardiniere sessantenne e questa attività gli tornò utile per i suoi omicidi. Era anche gay e furono loro ad essere le sue vittime. Tutto questo a Toronto, dove di assassini seriali se ne sono visti così di rado che la polizia per molti anni non collegò gli omicidi tra loro, mentre montavano le proteste della comunità gay.

Nato in una famiglia molto religiosa, sposato, padre di due figli, aveva fatto vari lavori tra cui il commesso viaggiatore. Ai primi anni Novanta aveva dichiarato a sua moglie la sua omosessualità, anche se avevano continuato a vivere sotto lo stesso tetto. Negli anni successivi erano arrivati problemi col figlio Todd (accusato di fare telefonate oscene a donne sconosciute; continuerà ad avere questi problemi anche dopo, tanto da essere condannato nel 2014), la perdita del lavoro nel 1993, il divorzio nel 1997 e la bancarotta nel 1999. Poi, la depressione. Un disastro.

Per vivere, si trasferisce a Toronto. In questo periodo, McArthur vive da solo, fuori dal contesto familiare che forse lo arginava, e non deve più nascondere i suoi desideri alla comunità, ma anzi trova spazi dove viverli.

Un mondo in pezzi

Per quattro anni ha una relazione stabile con un uomo, che termina nel 2001. Ma è proprio il 31 ottobre 2001, qualche settimana dopo il suo 50esimo compleanno, che il suo mondo comincia ad andare in pezzi. Aggredisce e ferisce gravemente un uomo che lo aveva invitato a casa sua. Viene condannato a due anni di carcere. Il motivo di questa condanna così lieve sta sia nel giudizio degli psichiatri, che non ritennero avrebbe ripetuto il reato, sia nella alta probabilità che l’aggressione fosse stata dovuta ad un errato dosaggio di psicofarmaci da parte di McArthur, ancora in cura.  Passò buona parte di quella condanna ai domiciliari. Uscì. Non giravano buone storie sul suo conto, al Gay Village. Ma non era ancora pronto a uccidere. C’erano gli strascichi della libertà vigilata. Nel frattempo era diventato giardiniere.

Gli omicidi

McArthur ha ucciso tra il 2010 e il 2017: 8 vittime, quasi una all’anno prima dell’arresto. Se le è scelte bene: tutti migranti, di cui sarebbe stato difficile seguire le tracce. Selim Esen, Andrew Kinsman, Majeed Kayhan, Dean Lisowick, Kirushna Kumar Kanagaratnam, Abdulbasir Faizi, Skandaraj Navaratnam e Soroush Mahmudi: questi loro nomi. Per due di queste scomparse era anche stato interrogato dalla polizia, visto che aveva frequentato quegli uomini.

Alcune delle vittime erano richiedenti asilo, altre per motivi di religione non avevano mai detto alla famiglia di essere gay, alcuni erano stati visti per l’ultima volta nell’area del Gay Village di Toronto. Tutti di mezz’età, tutti “bear” cioè molto pelosi. Li aveva incontrati tutti tramite numerose app gay, in particolare una che metteva in contatto uomini amanti del BDSM. Li smembrò e li seppellì in un giardino che curava. La polizia li riteneva scomparsi. A complicare le cose ci furono la scomparsa e/o gli omicidi di altri membri della comunità del Gay Village in quegli anni (in cui McArthur non era coinvolto).

Un arresto epocale

Possiamo solo immaginare cosa sia successo con loro, visto che Mc Arthur (come hanno testimoniato uomini che sono usciti vivi da un incontro con lui) amava le pratiche sessuali estreme e l’uso del GHB, una delle droghe dello stupro, che può anche essere usata per il cosiddetto chem-sex, cioè rapporti sessuali favoriti e sfrenati dall’uso di apposite sostanze disinibenti. L’arresto fu epocale: quando la polizia entrò in casa, in un appartamento delle Leaside Towers, c’era un uomo legato al letto. In casa, otto faldoni con i nomi delle otto vittime: dentro c’erano foto di loro vivi e di loro morti. Sempre legati. C’era anche un nono faldone, col nome dell’uomo legato al letto e salvato per miracolo dall’intervento della polizia. Se non fossero arrivati in tempo, avrebbe strozzato anche lui. Tutti gli omicidi erano avvenuti lì.

A gennaio 2019 arrivò la condanna all’ergastolo: non uscirà prima di aver scontato almeno 25 anni.

Foto di May Gauthier su Unsplash

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