La Corte Costituzionale dichiara incostituzionale il divieto di riconoscimento di un figlio nato in Italia mediante procreazione assistita effettuata all’estero da parte di una coppia di donne. L’iscrizione all’anagrafe potrà riguardare sia la madre biologica sia la madre intenzionale.
La Consulta ha emanato una storica sentenza per tutti quei bambini che, nati mediante procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero, potranno essere iscritti all’anagrafe con lo status di figlio per entrambe le madri.
Con la sentenza n. 68/2025, la Corte Costituzionale ha stabilito infatti che il divieto di riconoscimento dello stato di figlio lede il diritto del minore a “essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni“.
Non solo. Pregiudica anche ”il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale“.
Secondo la Corte, oltre a non garantire il migliore interesse del minore, prima di questa decisione venivano violati:
- l’art. 2 della Costituzione, per la lesione dell’identità personale del nato e il suo diritto a uno status giuridico certo e stabile;
- l’art. 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza della disciplina che non trova giustificazione in assenza di un controinteresse;
- l’art. 30 della Costituzione, che lede i diritti del minore “a vedersi riconosciuti, sin dalla nascita e nei confronti di entrambi i genitori, i diritti connessi alla responsabilità genitoriale e ai conseguenti obblighi nei confronti dei figli”.
Il caso di Lucca
Secondo la Corte Costituzionale vietare il riconoscimento di un figlio a una coppia omosessuale che pratica all’estero la PMA è incostituzionale.
Sono dunque fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate sugli artt. 8 e 9 della legge 40/2004 e dell’art. 250 del codice civile dal Tribunale di Lucca, che aveva chiamato la Consulta a esprimersi.
La causa di bigenitorialità riguarda due mamme che si sono rivolte a un centro all’estero per poter diventare genitori.
La coppia, che ha già una figlia legalmente riconosciuta, si è vista negare il diritto per il secondo bambino perché nato dopo la circolare del Ministro dell’Interno Piantedosi che impediva tale iter.
L’attribuzione dello status di figlio valeva solo per la madre biologica ma non per quella cosiddetta intenzionale. La Procura aveva così richiesto una rettifica per cancellare la madre intenzionale dall’atto di nascita.
Procreazione assistita: cosa cambia con la sentenza della Corte Costituzionale
Con la sentenza della Corte, a poter riconoscere il figlio non è più solo la madre biologica che ha partorito, ma anche la cosiddetta madre intenzionale.
La responsabilità genitoriale non riguarda solo la madre biologica, ma anche la madre che, come coppia, ha deciso di ricorrere a questo tipo di trattamento all’estero, assumendosi un impegno preciso.
In questo modo si colma così il vuoto legislativo che aveva dato vita a situazioni simili ma dal diverso esito: alcuni sindaci, agendo in modo differente in qualità di pubblici ufficiali, avevano creato effetti non uniformi sul territorio nazionale, contravvenendo al principio di uguaglianza formale e sostanziale previsto a livello costituzionale.