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Perché si torna a parlare dell’omicidio di Elisa Claps

Ciclicamente si torna a parlare della vicenda di Elisa Claps, l’adolescente uccisa nel 1993: in questi giorni per via del podcast di Pablo Trincia e anche del suo documentario sul caso, che passerà a breve su Sky. Perché continua a colpire, quella storia?

Un omicidio incredibile

La storia di Elisa Claps continua a far discutere perché è incredibile: una ragazza di 16 anni che, nel 1993, in una città tranquilla e anonima come Potenza, scompare nel nulla per 17 anni, per essere ritrovata (meglio: fatta ritrovare) nel posto più incredibile di tutti, la soffitta della chiesa della Santissima Trinità di Potenza, cioè l’ultimo luogo dove era stata vista viva e l’ultimo in cui si sarebbe aspettati di trovarla. Era sempre stata lì, cadavere in quella soffitta, sopra la testa del prete che diceva messa.

Elisa infatti è, per questo, anche la summa di tutte le ipocrisie della Chiesa, dei suoi silenzi e omissioni, che abbiamo visto e vediamo col caso Orlandi e che anche qui compaiono macroscopiche. Il continuo negare, da parte dell’allora parroco Stabia ma anche del suo successore don Wagno, ogni coinvolgimento col delitto, era ed è infatti una follia: come ho raccontato nel mio libro “Il caso Elisa Claps”, il parroco sapeva benissimo del cadavere perché anni prima gli operai erano entrati in quella soffitta per dei lavori svoltisi a pochi cm dal corpo. Il titolare di una delle imprese aveva visto e riferì anni dopo alla polizia, seppur cercando di non essere coinvolto.

Ed è impossibile che non abbia riferito al Parroco nell’immediatezza, perché quel cadavere poteva essere solo di Elisa Claps. Se lo sapeva lui, lo sapevano i suoi operai. Ma nessuno di costoro si sognò mai di andare alla polizia o di informare anonimamente la famiglia Claps. Non ci pensarono proprio. Ecco, anche l’aspetto dell’omertà cittadina è un’altra caratteristica forte del caso, perché accanto ai tanti che hanno fatto fiaccolate, manifestazioni, striscioni, dato sostegno, ci sono stati quei potentini che hanno preferito farsi i fatti propri, per mille motivi.

Danilo Restivo, l’assassino

L’omicidio di Elisa Claps è anche legato al nome del suo assassino, il serial killer Danilo Restivo, che dopo aver accoltellato lei, per un probabile rifiuto sessuale, si trasferì in Inghilterra e qui commise sicuramente l’omicidio di Heather Barnett e, forse, anche quello di una ragazza, Jong Ok Shin, detta Oki. Un uomo disturbato, feticista di ciocche di capelli che tagliava di nascosto alle ragazze sugli autobus, che riuscì a farla franca per anni, grazie all’aiuto della famiglia che si guardò bene dal farlo curare. Un uomo complicato, Danilo, morboso, strano, già autore di molestie telefoniche e postali alle dirimpettaie, che già a tredici anni aveva accoltellato un ragazzino, faccenda poi messa a tacere dal padre.

Indagini sbagliate

La vicenda Claps è anche la storia di indagini sbagliate, dove nessuno, per tatto, pensò di perquisire la chiesa della Trinità, dove nessuno -pur essendo palese che Danilo Restivo stava mentendo – lo incriminò per omicidio, dove il magistrato Felicia Genovese sottovalutò completamente i precedenti di Restivo, trattandolo da fessacchiotto. Nessuno pensò che potesse arrivare a tanto. Invece l’aveva fatto e l’avrebbe rifatto almeno un’altra volta, in Gran Bretagna appunto, uccidendo e mutilando la povera Heather Barnett.

Oggi che Restivo è in carcere in Gran Bretagna (con alle spalle altri 30 anni di carcere da scontare in Italia), però, c’è anche un altro motivo per riparlare dell’omicidio di Elisa Claps. La decisione della Curia di Potenza di riaprire la chiesa della Santissima Trinità, chiusa da anni e anni, come centro di spiritualità. Senza una parola di scusa alla famiglia Claps, senza una lapide che la ricordi, senza niente, come se niente fosse successo. E invece è successo di tutto.

Foto di Mika Baumeister su Unsplash

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