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Gli omicidi in Italia scendono, ma pochi ne parlano

L’erosione è iniziata l’anno degli attentati a Falcone e Borsellino e non si è più fermata. E’ da allora, dal 1992, che gli omicidi volontari hanno iniziato a scendere sempre di più, in Italia. Una bellissima notizia, ma quasi nessuno la riporta. Perché?

Cosa dice l’Istat

Vediamo i dati Istat, incontestabili. Il picco l’avevamo raggiunto l’anno prima, il 1991, con 1916 omicidi volontari. Nel 1995 erano scesi a 1000, nel 2000 a 746. Continuiamo. Nel 2005 sono 601, tenete conto che ogni anno, negli anni intermedi c’è sempre un calo.  Nel 2010 scendono a 526, nel 2015 a 469, nel 2020 –ultimo anno disponibile – a 289.

Una riduzione degli omicidi del 75% in quasi 30 anni è una notizia enorme. Enorme. In un Paese che ha stabilmente 60 milioni di abitanti, vuol dire che la percentuale per quota di abitanti si riduce costantemente. E gli omicidi non sono i soli reati che diminuiscono. Ma restiamo all’oggetto di questo articolo.

L’Italia ai primi posti in Europa per sicurezza

Vediamo la situazione più in dettaglio, per gli ultimi 5 anni disponibili, 2016-2020. Tenendo conto che un arco di valutazione più attendibile statisticamente è quello decennale, in questo periodo il nord-ovest comunque ha stabilmente 70-80 delitti l’anno. Sono le grandi città ad avere i numeri maggiori: Torino è raddoppiata da 10 a 19, mentre Milano scende da 17 a 10. Genova alterna anni con 2 delitti e altri con 7. Il nord-est ha 37 omicidi nel quinquennio (l’Emilia Romagna è compresa nel nord-est). Il centro Italia passa da 63 a 51 delitti, con Roma stabile sui 20 omicidi l’anno. Il sud crolla da 149 a 79 delitti in cinque anni, con Napoli che passa da 79 a 26 in particolare. Anche le isole scendono da 54 a 42.

Il calo ha riguardato tutte le forme di omicidio: per criminalità organizzata, durante una rapina, una rissa o in famiglia. Tra l’altro, questa situazione colloca l’Italia ai primi posti in Europa per sicurezza: è molto più pericoloso vivere in Germania, Francia, Gran Bretagna. Ve lo sareste mai aspettato? Non siamo in preda a una violenza cieca, non siamo tutti in costante pericolo. L’Italia non è il far west. E l’immigrazione, così come la crisi economica non hanno modificato questa tendenza pluridecennale al calo degli omicidi.

A cosa è dovuta la riduzione degli omicidi?

Ora che sappiamo che il calo è generalizzato, le domande sono: a cosa è dovuto? E perché quasi non se ne parla? La risposta alla prima domanda sta innanzitutto in una osservazione. Trent’anni di discesa continua dei numeri non sono un caso, ma una tendenza affermata. E se la discesa coinvolge il nord come il sud non la si può imputare solo alla pax mafiosa.  Certo la criminalità organizzata ha trovato modi meno visibili di risolvere le proprie controversie, in qualche modo si è inabissata dopo la guida di Riina e Provenzano, i sanguinari.

Ma qui parliamo di un calo generale, che riguarda crimine organizzato e comune. E allora dobbiamo valutare quanto abbiano inciso le politiche del Parlamento, le leggi approvate, l’azione di contrasto delle forze dell’ordine. Il ruolo dello Stato, i processi e le condanne, l’affermazione (per quanto imperfetta) dello stato di diritto, l’inasprimento di alcune pene e la maggior attenzione rispetto a certi fenomeni sociali hanno inciso. Ed è una prima valutazione dei motivi.

Allarmismo e gogne mediatiche

La risposta alla seconda domanda è che una quotidianità fatta di allarmismi, gogne mediatiche e trasmissioni fatte di decine di puntate a parlare e riparlare dello stesso caso (anche quando non c’è niente da dire) dà al pubblico la percezione di un pericolo amplificato e imminente, che di fatto non esiste. Venti puntate su uno stesso omicidio fanno sembrare venti omicidi quello che in realtà ne è uno. L’utilizzo interessato dei dati statistici da parte dei politici fornisce poi un’informazione parziale e distorta, utile o a rivendicare meriti che non ci sono (perché la tendenza positiva parte da molti ministri prima) o ad indicare come bersagli gruppi sociali specifici, in modo da fare da capro espiatorio.

Alla stampa poi (intesa come la maggior parte dei principali media, con le dovute eccezioni) piace raccontare un paese violento, perché le cattive notizie tirano, eccome se tirano. Il sangue fa notizia, paradossalmente le buone notizie no. Non è più importante dare la notizia giusta, vera, quanto seminare quel panico morale che dà il brivido, che attrae e respinge, mettendo in moto quei meccanismi psicologici che ti fanno sentire il pericolo come un elemento costitutivo e normale della società attuale.

Foto di Max Kleinen su Unsplash

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