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Identità, genere e linguaggio. L’importanza di scegliere le parole “giuste”

Perché è importante il linguaggio? Il modo di esprimerci sicuramente influenza le nostre discussioni e il nostro modo di pensare .Chiamare le cose con il loro nome è un atto rivoluzionariososteneva Rose Luxembrug e questa sua idea trova riscontro oggi, nella società civile.

La lingua è un potente mezzo di comunicazione che, come sappiamo, può cambiare nel tempo e nello spazio. Studi di linguistica affermano come questo strumento non sia solo veicolo di informazione ma in realtà fotografi il cambiamento culturale in atto all’interno di una società.

Negli ultimi anni, si è discusso e dibattito spesso su come il linguaggio potesse riportare una normalizzazione non stereotipata del genere femminile, usando solo ed esclusivamente il genere neutro. È da ricordare che ancora oggi, nonostante flebili passi in avanti e lotte per una vera emancipazione, le donne occupano posti importanti ma in misura inferiore a quanto meriterebbero.

Perché oggi è importante dare alla lingua il giusto carattere e significato? Vi è purtroppo una forte resistenza sull’utilizzo di un linguaggio coniugato al femminile e a non voler attribuire un cambiamento che vada aldilà di una lingua sempre più maschilista. Un percorso difficile che rende difficoltosa la rimozione di stereotipi di genere.

Linguaggio di genere, società e politica

In passato era una particolarità delle donne che ricoprivano incarichi tradizionalmente maschili, a non voler un appellativo al femminile. Nella storia politica Nilde Iotti voleva essere chiamata “Presidente” così come Irene Pivetti. Un passaggio importante è stato sicuramente quello introdotto da Laura Boldrini, che invece desiderava esser chiamata “La Presidente” rendendo al genere femminile il suo ruolo istituzionale.

Nelle scorse settimane anche Giorgia Meloni è stata coinvolta in questa polemica che, tutto può essere fuorché superficiale o sterile, sostenendo che l’appellativo da utilizzare fosse “Il premier, Onorevole Giorgia Meloni” o “Il Presidente del Consiglio” ipotizzando anche un  semplice “chiamatemi Giorgia”.

Una battaglia portata avanti dall’Accademia della Crusca e sostenuta dalle associazioni a tutela delle donne, femministe e studiose di linguistica sostiene che, l’importanza della corretta declinazione femminile delle professioni non sia solo linguisticamente accettata bensì sintomatica di un passaggio coerente e di rispetto del genere e dei ruoli.

Ma cosa si intende con il concetto neutralità di genere nel linguaggio?

Tra le prime organizzazioni internazionali, il Parlamento Europeo ha adottato per prima le linee guida multilingue sulla neutralità di genere nel linguaggio. Un linguaggio sotto il profilo del genere che rispetti i ruoli, non sessista ma inclusivo e rispettoso. Un linguaggio che punta ad essere equo e che vuole abbattere stereotipi che rendono sempre più difficile raggiungere una uguaglianza tra uomini e donne.

In tema di discriminazione linguistica abbiamo anche i principi della Convenzione di Istanbul, mentre a livello nazionale possiamo ricordare le linee guida della Presidenza del Consiglio dei Ministri– Dipartimento funzione pubblica- attraverso la direttiva n.173 del 27 luglio 2007, Misure per attuare parità e pari opportunità tra uomini e donne nelle amministrazioni pubbliche.

La lingua italiana in realtà non conosce il genere neutro e l’oscuramento del femminile nel maschile è una prassi che non può essere superata perché ancorata a vecchi stereotipi di genere e a una lunga storia di subordinazione femminile.

Nel 1987 ne aveva ampiamente parlato Alma Sabatini nel libro Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana” in cui spiega come il linguaggio sia indissolubilmente legato all’evoluzione della società. Sono passati anni ma la situazione non è assolutamente cambiata.

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