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Family mass murder

Omicidi di massa, sotto lo stesso tetto

Sempre più spesso si sente parlare di omicidi di massa familiare, ossia i “family mass murder”; si concentra per lo più negli uomini, che dopo aver commesso l’eccidio, per l’80% delle volte, provano a togliersi la vita, ecco perché questa tipologia omicida prende il nome di suicidio di massa familiare.

Molte volte, vengono riportate le notizie in modo del tutto errato, queste stragi sono chiamate “raptus”, “femminicidio”, o “gesto di follia”, ma, in realtà, il fenomeno è molto più complesso. Questi soggetti presentano delle caratteristiche che li identificano come ad esempio: se sono persone adulte a commettere il fatto, è quasi sicuro che subito dopo si suicideranno, mentre se ad uccidere sono degli adolescenti (come nel caso di Erika e Omar) allora non si suicidano.

La scintilla scatenante è composta da tre elementi:

– bassa tolleranza allo stress

– stato depressivo intenso

– narcisismo accentuato

Le motivazioni ruotano sempre alla sfera economica della famiglia e agli affetti che vengono a mancare o sono distorti.

La più grande strage di Family Mass Murder, avvenuta in Italia, è quella dell’omicidio Buonvicino, nel cosentino (19 novembre 1996). Alfredo Valente, ex carabiniere, ha sterminato sua moglie insieme alla sua famiglia, consequenziale ad una separazione non elaborata.

Oggi raccontata e scritta a quattro mani, dal Prof. Sergio Caruso, criminologo e psicologo, e da Fabrizia Arcuri, giornalista, nonché parente alle vittime di questa strage. “Sangue del mio sangue”, (Falco Editore), il titolo di questo nuovo libro, fornisce due chiavi di lettura: quella psicanalitica da parte del prof. Caruso e quella della testimone diretta Arcuri.

In prima battuta il testo analizza in modo scientifico le varie casistiche del fenomeno in continua e rapida crescita, questo per stimolare e invitare a creare progetti e confronti in grado di riuscire a fare una sorta di prevenzione a queste stragi. Nella seconda parte vi è una ricostruzione, autobiografia, del dolore da parte delle così dette vittime secondarie, di cui nessuno ricorda o se ne parla.  

La famiglia riesce a dar voce a questa tragica vicenda solo dopo 25 anni, di silenzi e dolori soffocati, si parla per la prima volta, cercando di far conoscere ciò che è accaduto, sia sotto un aspetto forense ma anche sotto l’aspetto umano. Una famiglia abbandonata a sé stessa, senza nessun tipo di appoggio, né economico e né tantomeno psicologico.

Bisogna trasformare l’angoscia in azione” Capitano Ultimo

L’Italia deve essere in grado di poter ostacolare ogni tipologia di violenza e devianza sociale. Ecco che, poter parlare, pubblicare libri, creare progetti per la prevenzione, capaci di trasmettere alla società una conoscenza approfondita della materia. Le istituzioni dovrebbero subito intervenire in questi contesti, cercando in ogni modo e con ogni forza affinché queste vittime secondarie non siano abbandonate ma tutelate.

Il mio spirito, pur se sempre alla ricerca di vuoti da riempire, ha trovato le sue ragioni. La cosa più bella che possa esserci è vivere e poter toccare il mondo e percepire tutte le sue meraviglie a prescindere da ciò che ti succede, trovare la voglia e la spinta di poter andare avanti. Anzi, è ciò che forgia il tuo carattere, il coraggio e la fermezza che ti spingono a dare tutto e sognare di poter fare grandi cose. Sono la rabbia, il dolore e la sofferenza che, se mescolati e incanalati nel modo giusto, trovano l’antidoto per la cura. È la benzina che alimenta la tua anima e la volontà di superare qualsiasi ostacolo” Marco Benvenuto.

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