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Dopo 28 anni, si risolverà il “delitto del trapano”?

È il delitto di un’infermiera con una doppia vita, a Genova. È quello del trapano. Sarà possibile riaprire questo cold case? A distanza di 28 anni, c’è una nuova pista da percorrere.

Luigia Borrelli, infermiera

È la storia di due donne, che in realtà sono la stessa: Luigia e “Antonella”. Luigia Borrelli, professione infermiera a domicilio, da una signora nel centro città, e del suo alter ego Antonella, prostituta che ogni giorno, dalle 12 alle 21, festivi compresi, lavora in un “fondo” di vico Indoratori 64, nella zona portuale di Genova. Non una bella zona all’epoca, ma quella dove ogni cliente, all’epoca sapeva di trovare ciò che cercava. Luigia ha 43 anni e due figli. È vedova e alla morte del marito Mario, avvenuta a febbraio del 1990, cinque anni prima, ha scoperto che, per cercare di ristrutturare un bar che aveva comprato, si era indebitato con gli usurai che, ora, le richiedevano indietro la somma e minacciavano i figli.

Per un’infermiera è impossibile restituire 250 milioni di lire, per una prostituta no. Nel 1992 Luigia si licenzia dall’Ospedale San Martino e diventa Antonella: si mette all’opera. La sua riservatezza proteggerà per anni il segreto. Come il fatto di abitare a Marassi e lavorare al porto. Due quartieri diversi della grande città.

Antonella

Antonella è una delle ultime prostitute di quella zona ed è diversa dalle altre, non è una fredda professionista ma una che coi clienti ci chiacchiera, ci passa del tempo a parlare. Ogni settimana versa anche 3.500.000 lire agli usurai. Calcolatrice alla mano, in qualche anno può farcela.

In realtà la signora da cui presta servizio, Adriana Fravega, è un ex prostituta nonché padrona del fondo e sarà lei a scoprire il corpo di Antonella. La serranda è abbassata, ma il lucchetto che lo chiude è messo in un modo diverso dal solito. Lei è lì, per terra, nel sangue, e ha un trapano in gola, dopo essere stato infilato, da spento, per 15 volte sul collo e sul torace. L’ambiente è a soqquadro. Uno sgabello macchiato di sangue, usato per colpirla in testa. C’è stata una violenta lotta: la vittima ha dei denti spezzati, ecchimosi. Pugni in faccia. Vengono trovati 5 mozziconi di sigaretta. È la mattina del 6 settembre 1995. La morte risale a un tempo preciso: tra le 22 e l’1 del giorno prima. Nasce il “delitto del trapano“.

Ottavio Salis

La proprietaria indica in Ottavio Salis il proprietario del trapano. È vero, l’uomo ha svolto dei lavori in vico Indoratori, il trapano è suo. Le sue prime asserzioni sono vaghe, contraddittorie. Ha 52 anni, è muratore ed elettricista, ma non c’entra nulla. I due sono amici stretti e lui è suo cliente. Ha macchie scure sugli abiti, graffi sulle braccia. Lo interrogano, lo pressano, lo sospettano, il suo nome è sui giornali come possibile assassino e sicuro frequentatore di prostitute. Salis non regge, forse si vergogna di fronte a moglie e figli e alle 20 del 14 settembre si butta dalla sopraelevata e muore. Nel fondo però ci sono anche tracce di sangue (su un interruttore, nel lavandino, su una tenda) che non sono di Antonella, ma dell’assassino. E il cui dna è lo stesso lasciato sui mozziconi. La vittima ha parlato e lottato con l’assassino. Di chi è quel sangue? Non è di Salis, non è degli usurai. Le indagini si fermano, il caso rimane insoluto.

Un cold case da risolvere

Nel giugno scorso passa in tv una puntata di “Mostri senza nome”, prodotta da Creative Nomads e in onda su Sky. Lo guarda una donna, la cui madre era un’infermiera, collega di Luigia all’ospedale San Martino. Molti anni prima ha confidato alla figlia che c’era un collega dell’ospedale che, nei giorni successivi al delitto, aveva graffi su braccia e mani, che lui attribuiva al gatto. La figlia, guardando il programma si ricorda della storia. Sua madre ormai è morta. Va dal giornalista Menduni del “Secolo XIX” e racconta la faccenda. L’indagine è riaperta.

L’uomo era un primario del San Martino, oggi morto, con cui Luigia avrebbe avuto forse una relazione e che forse avrebbe ricattato (anche se sembra difficile attribuire questo comportamento alla Borrelli). Era un uomo burbero, aggressivo, irruento. Il cui corpo è stato cremato dopo la morte: ma, come insegnano casi come Gambirasio, il dna può essere ricavato anche da altri oggetti, con un po’ di fortuna. Questo non vuol dire che l’ex primario sia l’assassino, ma che c’è una pista da seguire e certe volte, specie 28 anni dopo, non è poco.  

Foto di Eugen Str su Unsplash

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