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Caso Alessia Pifferi: dal deficit mentale alla Sindrome di Calimero

Alessia Pifferi è accusata per la morte della figlioletta Diana, di appena 18 mesi. Dopo essere stata giudicata “capace di intendere e di volere” ha cercato di sottrarsi all’ergastolo usando la “Sindrome di Calimero”, ossia cercando di attribuire le colpe dell’omicidio a fattori esterni. Il suo vittimismo appare come un tentativo di manipolazione e il linguaggio del corpo conferma la sua colpevolezza.

Chi è Alessia Pifferi e qual è la sua storia

Alessia Pifferi è la madre accusata di aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di appena 18 mesi, rimasta sola in casa per sei giorni.

La trentanovenne viveva con la figlioletta in un bilocale di Ponte Lambro a Milano. Il 14 luglio del 2022 aveva lasciato la bambina a casa ed era andata a trovare il compagno a Leffe, in provincia di Bergamo. Non era la prima volta che lo faceva. Lasciava spesso la figlia a casa da sola nel week end. Quella volta però è rientrata dopo sei lunghi giorni, il 20 luglio. Trovando la bambina morta, ha cercato di rianimarla prima di chiamare inevitabilmente i soccorsi.

Dalle prime indagini, si scoprirà una realtà agghiacciante: che la piccola Diana non avrebbe mai conosciuto il padre (sconosciuto anche alla stessa Pifferi), che la bambina è stata partorita in bagno, che non è mai stata registrata da un pediatra, non è mai andata all’asilo nido e non è mai stata vaccinata. Una “bambina invisibile”, insomma.

La perizia psichiatrica e il deficit mentale

Il caso Pifferi è una storia surreale, assurda, inimmaginabile, che ha sollevato enorme sdegno nell’opinione pubblica: come ha potuto una madre lasciare morire la figlia di un anno e mezzo in quel modo? Fin da subito ci si è chiesti se la donna fosse in grado di intendere e di volere. Interrogativi che si sono protratti per quasi due anni.

Da quel tragico 20 luglio in poi, Alessia Pifferi e i suoi legali hanno cambiato spesso strategia difensiva, puntando sul vizio parziale di mente e su un presunto ritardo mentale dell’imputata. A questo proposito è stata aperta un’inchiesta parallela che ha coinvolto le psicologhe del carcere di San Vittore, dove Pifferi è detenuta, e l’avvocatessa Alessia Pontenani per aver “manipolato” il certificato psicologico della donna.

Alla fine, la perizia psichiatrica commissionata dalla Corte d’Assise di Milano al perito Elvezio Pirfo ha dimostrato il contrario, che Alessia Pifferi è “capace di intendere e di volere“.

La versione della sorella e della madre

Alessia Pifferi è accusata di omicidio volontario pluriaggravato, un reato per cui, in caso di condanna, è prevista la massima pena. Nel corso dell’ultima udienza, la donna ha tentato di sottrarsi nuovamente all’ergastolo addossando le colpe a fattori esterni. Le sue dichiarazioni spontanee, però, sembrano tradire una precisa strategia cavalcata da tempo dalla difesa.

Durante il processo, Pifferi ha dichiarato che “non voleva uccidere la bambina“, affermando di non aver mai pensato che una cosa del genere potesse accadere. Tuttavia, i suoi familiari e la pubblica accusa non condividono questa versione.

La sorella Viviana e la madre Maria Assandri sostengono che la donna ha sempre pensato solo a sé stessa, raccontando una serie infinita di bugie anche ai famigliari. Inoltre, Viviana ha descritto le dichiarazioni in tribunale della sorella come tentativi di manipolazione e vittimismo, piuttosto che gesti di pentimento.

La Sindrome di Calimero

In un articolo su MOW Mag, la criminologa Anna Vagli sostiene che Alessia Pifferi sarebbe affetta dalla così detta “Sindrome di Calimero”, in riferimento al noto personaggio televisivo che si lamentava in continuazione di qualsiasi cosa.

Pifferi si è sempre presentata come vittima delle circostanze, tentando di incolpare gli altri delle proprie azioni. La donna ha cercato di sostenere di essere stata inconsapevole di un presunto deficit, asserendo che, se fosse stata a conoscenza di tale problema, si sarebbe fatta curare. Ma questo approccio appare come un tentativo di manipolazione, un modo per giustificare le proprie scelte.

Pifferi ha menzionato anche un presunto abuso sessuale subito all’età di dieci anni e le violenze domestiche perpetrate dal padre nei confronti della madre. Tuttavia, la sua narrazione sembra più orientata a suscitare pietà che a offrire una spiegazione reale del suo comportamento. Invece di esprimere rimorso per la tragica morte della figlia Diana, la donna ha attribuito ogni responsabilità al suo passato difficile, evidenziando il ruolo del fato e delle circostanze nella sua vita.

Segnali di menzogna nel linguaggio del corpo

I segni della bugia sono evidenti anche nel linguaggio del corpo della Pifferi. Mentre affermava di non aver ucciso sua figlia, il suo comportamento non verbale l’avrebbe tradita.

Alle domande della Corte, la Pifferi ha scosso spesso la testa, per poi annuire, suggerendo una discrepanza tra le parole e le emozioni reali. Inoltre, durante il dibattimento, ha chiuso spesso gli occhi e sbattuto le palpebre, segnali tipici di autodifesa e, talvolta, di menzogna. Altri segni di incoerenza sono emersi mentre parlava della sorella: la sua espressione del viso, apparentemente di dolore, è durata troppo a lungo, suggerendo una costruzione emotiva piuttosto che un’autentica reazione.

Alla fine, le dichiarazioni di Alessia Pifferi sembrano essere una conferma della sua colpevolezza più che di una difesa convincente. Il suo tentativo di giocare il ruolo di vittima, simile a quello del celebre pulcino Calimero, non sembra infatti aver convinto la Corte.

LEGGI L’INTERVISTA DI FORENSICNEWS AD ANNA VAGLI

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