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Accessi alla banca dati SDI (Sistema di indagine): in quali casi il loro utilizzo diventa fonte di illeciti

La banca dati SDI (Sistema di Indagine) è lo strumento utilizzato dalle forze dell’ordine per accedere a informazioni utili per lo svolgimento delle loro funzioni. In alcuni casi, però, l’utilizzo di tali dati viene considerato illecito.

Le forze dell’ordine che si servono di appositi sistemi per poter adempiere al meglio ai loro doveri devono utilizzarli in modo appropriato e rispettando le regole previste dalla Legge n. 121/1981 e dal D.P.R. n. 378 del 3 maggio 1982.

La banca dati SDI (Sistema di Indagine) è uno strumento fondamentale per le attività di investigazione e sicurezza pubblica. Raccoglie importanti dati su persone, veicoli e segnalazioni di diversi enti che, coordinati tra loro, consentono una facilitazione del lavoro delle autorità.

L’uso improprio del sistema SDI configura una fattispecie illecita

La banca dati a disposizione delle forze dell’ordine deve essere utilizzata nei limiti delle loro funzioni e nel rispetto di normative precise.

In base all’art. 9 della Legge n. 121/1981, ad accedere al sistema possono essere:

  • gli ufficiali di polizia giudiziaria che fanno parte delle forze di polizia;
  • i funzionari dei servizi di sicurezza;
  • gli ufficiali di pubblica sicurezza;
  • gli agenti di polizia giudiziaria delle forze di polizia.

Se i dati vengono diffusi a terzi non autorizzati, vengono attuate le disposizioni previste dall’art. 12 della Legge n. 121/1981, in base al quale “il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa, è punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la reclusione da uno a tre anni”.

La norma punisce il modo in cui i dati vengono adoperati dal pubblico ufficiale, e non il modo in cui vengono estratti. 

La segretezza delle informazioni deve essere protetta da ingerenze esterne e dalle autorità che, in virtù del loro ruolo, possono avere facile accesso ai documenti delle pubbliche amministrazioni.

La divulgazione non può avvenire nei confronti di terzi che non ne abbiano diritto. Il sistema è chiuso, e consentito solo per determinate finalità.

Si deve pertanto escludere l’uso di queste informazioni per motivi personali, senza il rispetto delle procedure previste dal principio di specialità.

SDI, accesso illecito e divulgazione a terzi estranei

L’abuso per chi si introduce in un sistema informatico o telematico è punito dall’art. 615 ter del codice penale con condanne significative che variano a seconda della gravità della condotta.

In questo caso la norma intende punire non solo chi accede illegalmente al sistema, ma anche chi, pur avendone l’autorità, entri per utilizzarlo per ragioni diverse da quelle d’ufficio. L’articolo in questione riguarda la sola fase dell’acquisizione delle informazioni e non quella successiva alla divulgazione dei dati a terzi estranei alle vicende, regolamentata dall’art. 326 c.p. e dall’art. 12.

Se l’art. 326 c.p. si applica quando non sussistono le ragioni per accedere al sistema, l’art. 12 viene adottato invece quando l’agente acquisisce i dati rispettando le procedure.

L’introduzione di queste sanzioni riflette la volontà del legislatore di tutelare la privacy dei cittadini e di mantenere la trasparenza delle attività investigative.

Il rischio, infatti, è che queste condotte compromettano non solo l’integrità del sistema, ma anche la fiducia dei cittadini nelle istituzioni pubbliche e nelle forze dell’ordine.

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