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La vera storia di “The serpent”, su Netflix

È una serie che sta facendo colpo su Netflix, ma “The serpent” è ispirato a una storia vera, verissima. Quella del principale serial killer asiatico, Hotchand Bhawnani Gurumukh Charles Sobhraj, meglio noto come Charles Sobhraj o “Bikini killer”. Che dal dicembre scorso è di nuovo in circolazione.

The Serpent e l’Hippy Trail

Erano i gloriosi anni Settanta quando ragazzi e ragazze di ogni nazione partivano per scoprire la spiritualità in India, Birmania, Nepal. Con uno zaino in spalla e un bel numero di sogni, partivano verso l’ignoto per vivere un’esperienza che forse li avrebbe cambiati e forse no. Ma alcuni non tornarono più. Il loro percorso era noto come “Hippy Trail”, e la loro apertura al nuovo, alle nuove conoscenze, ad una nuova cultura, fu la base sulla quale esercitò la sua manipolazione e la sua violenza Charles Sobhraj.

Nato nel 1944, francese, delinquente fin dall’adolescenza, truffatore che lavorava nell’ambiente dei preziosi, Sobhraj capì che quei ragazzi erano una fonte di documenti, travel cheque, contanti. Li ospitò, si mostrò amico, li affascinò, li uccise con un complice per poterli derubare. Senza che si sia mai capito quante fossero le vittime. Si parla di una ventina. Dodici di sicuro. Non sembra fosse un violento: era, più che altro, uno che voleva vivere nel lusso. Si muoveva con sicurezza tra India, Thailandia, Afghanistan, Nepal, Hong Kong, Iran e Pakistan, come mercante di gemme preziose e trafficante di droga. 

The Serpent, chi è Sobhraj?

Era arrivato lì nel 1970, fuggendo con la moglie di allora a condanne francesi. E derubando chi incontrava lungo la strada. Inizia così un periodo turbolento di truffe, rapine, arresti, evasioni, fughe in altri paesi e di nuovo furti, arresti, soldi prestati, altre fughe. Fino a fuggire dalla stessa moglie e figlia. Che tornarono in Francia, giurando di non volerci più avere niente a che fare. Vive a Bangkok. Ma se Sobhraj è stato un serial killer, lo è stato in modo atipico: niente violenza pulsionale, nessun sadismo, niente di quella sessualità che spesso (ma non sempre) anima i seriali. Più che altro, pianificazione e metodo, fascinazione e morte. Droga e poi omicidio. Nient’altro. E di nuovo, e di nuovo.

Un tipo simpatico, carismatico, fascinoso, palestrato. Con tanti passaporti per muoversi in Asia e sfuggire via. E due complici: la compagna canadese Marie-Andrée Leclerc e l’indiano Ajay Chowdhury. La prima somministrava le droghe, il secondo aiutava Sobhraj a uccidere e far sparire i corpi. È proprio Chowdhury quello dei tre che è riuscito a sparire completamente. È dagli anni Settanta che non si sa dove sia, tanto che si sospetta che Sobhraj lo abbia ucciso in Malesia, dopo un colpo. La Leclerc invece lo ha seguito fino all’ultimo, in parte manipolata e soggiogata da lui, in parte del tutto consapevole di ciò che avveniva. Negli ultimi mesi si unirono a loro altre due donne, anch’esse complici. Ma tutta l’epopea degli omicidi si sviluppò nei dodici mesi che corsero tra il 1975 e il 1976, in vari paesi.

Nessuno scrupolo

Forse un disturbo antisociale di personalità, forse psicopatia. Sospetti, anche seri visto il suo comportamento, ma nessuna certezza. Un enigma, in un certo senso. Dal 1976 al 1997 in carcere in India, quando lo beccano come serial killer. Torna a Parigi, si fa strapagare per interviste, documentari e film su di lui. Si esibisce. Poi, fa una cosa assurda. Va in Nepal, dove era ricercato per l’omicidio di due turiste americane e lo sapeva. Si fa notare al Casinò. Narcisismo puro, ai massimi livelli. Una giornalista lo nota e scrive di lui. Tempo due settimane e lo arrestano di nuovo e dal 2003 torna in carcere fino al 2022, anni in cui subisce due processi e due condanne – quelli per le due turiste.

Perché lo ha fatto? L’ipotesi più accreditata è per far tornare a parlare di sé, che sembra assurdo ma è l’unica spiegazione trovata ad oggi. O più probabilmente per un eccesso di sicurezza, per una sfida allucinante alle autorità. In fondo, il carcere indiano se l’era fatto corrompendo le guardie alla grande, con grandi pasti, grandi mance, grandi comodità.

Ora è libero e malato al cuore, da tempo. Ha quasi 80 anni. Alla vigilia di Natale è tornato in Francia e dice ancora di essere innocente per i due omicidi in Nepal. La Leclerc, dopo 7 anni di carcere, è morta moltissimi anni fa a casa sua, in Canada, per un tumore.

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