C’è una nuova moda nella scelta dei nomi per bambini. Da Pablo Escobar a Ted Bundy, l’influenza delle serie TV sta spingendo i genitori a scegliere per i loro figli i nomi di personaggi criminali e controversi. Ma siamo davvero consapevoli delle conseguenze di tutto questo?
Nomi di criminali per i propri figli: quando la finzione plasma la realtà
Negli ultimi anni, la scelta dei nomi per bambini ha seguito un trend inquietante, riflesso di una società sempre più affascinata dalle narrazioni borderline e dai personaggi moralmente ambigui. Secondo le più recenti classifiche internazionali, nomi come Thomas, Pablo e Dexter, resi celebri da serie TV di successo, stanno vivendo un’impennata inattesa tra le preferenze dei neogenitori.
In Italia, come nel resto del mondo, il trend è chiaro. Si registra un aumento significativo di bambini chiamati con il nome di gangster spietati, serial killer o narcotrafficanti diventati nella finzione icone pop. Se un tempo l’associazione di un nome con un personaggio negativo era evitata, oggi sembra essere diventata, paradossalmente, un segno di forza e originalità. Il motivo è un mix di suggestione mediatica, fascinazione per l’antieroe e desiderio di unicità a ogni costo.
La popolarità di nomi come Thomas (dal carismatico boss di Peaky Blinders), Pablo (da Narcos, ormai più legato a Escobar che a Picasso) e Dexter (il serial killer “etico” dell’omonima serie) mostra quanto il confine tra fiction e realtà sia sempre più labile, anche nelle scelte più intime come quella del nome di un figlio. Non mancano poi casi più eclatanti: Tokyo e Berlino, presi direttamente dalla serie TV La Casa di Carta, figurano tra le preferenze di quest’anno, ma anche nomi come Teddy, un vezzeggiativo che ha assunto tinte sinistre a causa della sua associazione con il serial killer Ted Bundy.
Il fascino oscuro dell’antieroe
Perché questi nomi tanto controversi risultano così attraenti? Psicologi e sociologi individuano nella figura dell’antieroe una risposta chiave. Si tratta di personaggi complessi, spesso tormentati, dotati di intelligenza, leadership e, paradossalmente, una forma distorta di etica. Infrangono le regole, certo, ma lo fanno con carisma e determinazione.
In molti casi, i genitori dichiarano apertamente di “scegliere il nome, non la storia”. Thomas viene apprezzato per il suo fascino classico ed elegante, Pablo per il suo richiamo esotico, Dexter per la sua duplicità affascinante. Ciò che emerge è un tentativo di appropriazione selettiva delle qualità positive attribuite ai personaggi, ignorandone volutamente i risvolti criminali.
Un altro elemento determinante è l’effetto “coolness”. In un’epoca che va verso l’omologazione, dare al proprio figlio un nome inusuale e carico di personalità diventa un atto di affermazione individuale. Secondo gli esperti, con questa scelta i genitori cercano, forse inconsciamente, di trasferire un’aura di unicità e potere sul bambino, sin dalla nascita.
Il peso di un nome: una profezia che si autoavvera
Ma cosa significa davvero crescere con un nome come Pablo, Thomas o Dexter? È una domanda tutt’altro che banale. Gli esperti sottolineano come un nome non sia mai neutro, bensì rappresenti la prima etichetta sociale che ci viene attribuita e può influenzare il modo in cui veniamo percepiti dagli altri e, di conseguenza, il modo in cui percepiamo noi stessi.
Diversi studi in ambito psicologico parlano di “profezia che si autoavvera”. Le aspettative sociali generate da un nome possono, nel tempo, condizionare il comportamento dell’individuo. Un nome con forti connotazioni, soprattutto in senso negativo, può diventare un ostacolo alla costruzione di un’identità serena.
Per questo motivo, prima di scegliere un nome sull’onda di una passione televisiva o del fascino per l’antieroe, sarebbe opportuno porsi alcune domande fondamentali, come ad esempio, “è un nome che faciliterà o complicherà la vita del bambino?”
La scelta del nome resta uno degli atti d’amore più profondi. Al di là delle mode, delle suggestioni e della ricerca dell’originalità a tutti i costi, ogni genitore dovrebbe chiedersi se quel nome rappresenta un dono autentico o un’eredità pesante. Perché, alla fine, un nome è molto più di una parola. È il primo sussurro d’identità.