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L’Investigatore Privato a caccia dei finti malati

Si della cassazione a foto e video del detective che inchiodano i dipendenti che simulano fraudolentemente lo stato di malattia

Impossibilitato a svolgere il suo lavoro di autista a causa di una lombalgia acuta che lo costringeva in malattia, era però in grado di svolgere lavori di manutenzione sul tetto della propria abitazione.

E’ cosi infatti che è stato ritratto e filmato il dipendente di una ditta di Gela (CL), che evidentemente considerava la malattia del dipendente sospetta, al punto di affidarsi al lavoro di un investigatore privato.
Il dipendente non aveva accettato il licenziamento per giusta causa per “simulazione fraudolenta dello stato di malattia” e aveva deciso di fare ricorso, ma secondo la sentenza nr. 18507 della Corte di Cassazione, sezione lavoro, l’investigatore è stato in grado di produrre materiale sufficiente al licenziamento, senza violare alcuna norma o mortificare la dignità del dipendente.

Di seguito un estratto della sentenza: “La Corte di Appello riteneva legittimo il ricorso, da parte del datare di lavoro, ad una agenzia investigativa per verificare l’attendibilità della certificazione medica e utilizzabili il video e le fotografie, che ritraevano il lavoratore mentre il 7/11/2013, e quindi durante il periodo di malattia, eseguiva, dalle ore 13.30 alle ore 14.20, lavori sul tetto e nella corte della propria abitazione, non essendovi stato idoneo disconoscimento, ex art. 2712 c.c., di tali riproduzioni; riteneva, quindi, attendibile la testimonianza dell’investigatore privato incaricato dalla società di svolgere le indagini… posto che le contestazioni, così come formulate, non potevano ritenersi generiche, che il termine di 8 giorni (dalla presentazione delle giustificazioni) previsto dal CCNL Metalmeccanici per l’adozione del provvedimento era di natura meramente ordinatoria e che la garanzia rappresentata dall’affissione in luogo accessibile a tutti del codice disciplinare non trovava applicazione nel caso di specie, in cui si discuteva della violazione di doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro.
La Corte ha infatti considerato le disposizioni dell’art. 5 della legge 20 maggio 1970, n. 300, in materia di divieto di accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio dei lavoratore dipendente e sulla facoltà dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per infermità solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, non precludono al datore medesimo di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza.

La Corte, esaminate le fotografie ed il filmato, osservava poi come il dipendente vi apparisse svolgere attività piuttosto gravose e richiedenti un impegno fisico non inferiore a quello tipico delle mansioni di autista/aiuto meccanico esercitate per la società datrice di lavoro, così da risultare incompatibili, alla stregua del notorio, con la reale sussistenza dell’affezione (“gonalgia e lombalgia acuta’) che aveva dato luogo alla sua prolungata assenza per malattia.

Una nuova sentenza che va nella direzione auspicata e che tutela i dipendenti onesti ed i datori di lavoro che sanno di avere dalla loro parte un servizio alternativo alle “visite fiscali”, più specifico e reattivo e che sicuramente sarà di aiuto nella risoluzione di controversie legate alle false attestazioni di malattia.
A cura della redazione
© riproduzione riservata

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