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L’infanticidio

Abbandono materiale e morale, studi e statistiche

La criminologia è una scienza che viaggia sempre su binari paralleli e puliti, non si discosta mai dalla precisione e minuziosità, è una branca che detta linee guida ben strutturate; rispetto al diritto che distingue infanticidio da figlicidio, essa amplifica i campi e fa 3 distinzioni:
1. Neonaticidio (immediatamente dopo la nascita)
2. Infanticidio (entro il primo anno di vita)
3. Figlicidio o Libericidio (dopo il primo anno di vita)

Queste distinzioni sono l’elaborazione delle statistiche raccolte negli anni in cui vengono osservati: livello sociale, stile di vita e motivazioni. Nel caso di infanticidio molte volte si osserva una motivazione ricorrente, il neonato percepito come “oggetto”, dove affiorano sentimenti di ostilità e estraneità; mentre, quando si parla di figlicidio, vari studi hanno sviluppato una carrellata di motivazioni che partono dal gesto non controllato senza alcun tipo di patologia, fino ad arrivare alla patologia cronica.

Esiste la Battered Child Syndrome che prevede un impulso violento, istintivo, difronte al pianto disperato del bambino; molte volte la donna soffre di un disturbo di personalità. Parliamo di motivazione sociale quando avvengono figlicidi, da parte di madre o padre, che seguendo alcune ideologie di pensiero come: evitare trasfusioni o cure mediche, lasciano morire i propri figli. “The First Church of Christ Scientist” in USA o i Testimoni di Geova che non prevedono l’uso dei medicinali.

Le patologie sono riscontrabili per lo più nei casi di neonaticidio dove le donne spesso presentano disturbi depressori di diversa entità. È stato dimostrato che la depressione non è necessariamente collegata all’evento del parto; le depressioni più gravi hanno portato a molti suicidi, madre e figlio, come metodologia veloce che “salva” il bambino. Molti studi hanno dimostrato che vari omicidi o figlicidi siano stati scaturiti da una forte forma di depressione psicotica.

Osserviamo ora, tra i vari studi, le disamine dei numeri di figlicidio avvenuti durante gli anni. Dal 1906 al 1911 si sono registrati 47 casi ogni anno fino ad arrivare a 75 casi annui nel decennio che va dal 1950 al 1959. Nel 1978, entra in vigore la legge che prevede l’interruzione volontaria di gravidanza, registrando un netto calo di morti infantili*. Un lavoro molto interessante di Bramante in riferimento alle madri affette da disturbi cognitivi; vennero condotti degli studi mirati su 80 perizie, dal 1967 al 2003, che riportarono questi risultati:
Luogo di nascita: 56% Nord, 30% Sud e Isole;
Età: 26-32 anni percentuale maggiore, minore 18-25 anni;
Istruzione: scuole medie (42%), elementari (25%), scuola di secondo grado (19%), laurea (3%);
Stato civile: coniugate (61%), nubili (14%), conviventi (15%), separate (9%);
Relazione con il partner: conflittuale (33%), buona (28%), marito assente (10%);
Occupazione: casalinga (58%), operaia (8%), studentessa (5%), pensionata (5%), segretaria (3%), disoccupata (8%);
Numero dei figli: nel 52% il figlio è unico, nel 33% ha un fratello o una sorella, nel 15% sono in tre o più figli;
Disturbi psichici al momento del reato: già sofferenti di disturbi psichici e in cura presso servizi sanitari locali (74%: depressione 55%, psicosi 11% sindrome dissociativa 8%, ecc.), nessun disturbo (29%);
Precedenti allarmanti: nel 69% dei casi si erano verificati episodi che potevano mettere in allerta;
Status socio-economico: ceto medio (62%), ceto medio/basso (28%), ceto alto (1%).

Chiari segni di disagio per il 35% e il 25% aveva subito ricoveri. Un quarto delle donne con problemi psichici aveva tentato almeno una volta il suicidio e il 5% già aveva tentato di uccidere la futura vittima.

Uno degli studi più recenti condotti dalla Northwestern University Feinberg School of Medicine di Chicago hanno scoperto molte diversità nei profili neuropsicologici degli assassini, difatti è stato dimostrato che vi è una grande differenza, a livello neuropsicologico, in chi uccide bambini e chi uccide gli adulti. Grazie a questa scoperta potrebbe applicarsi un protocollo di osservazione e prevenzione al fine di identificare e aiutare tutti i bambini potenzialmente in pericolo di vita.

Questa tipologia di omicidio è rara ma anche la meno compresa; negli anni, gli eventi omicidiari hanno subito degli alti e bassi, mentre gli infanticidi non hanno mai visto un periodo calante.

Uno studio fatto nel 2014 in America ha stimato che siano stati uccisi ben 1550 bambini, per motivi di violenza o di negligenza genitoriale. Ormai siamo abituati a sapere solo quelle notizie che passano come un evento mediatico, emblematico, e nella stragrande maggioranza si parla di casi di donne con patologie mentali di tipo psicotico che commettono tali delitti, ma la realtà prevede molte varianti, abbiamo eventi in cui l’omicida è il padre e eventi in cui non esista alcun tipo di forma psicotica.

Uno studio condotto qualche anno fa ha messo in evidenza che, chi uccide bambini tende ad avere un livello intellettivo basso, persone poco comunicative e poca abilità nel problem solving. Chi è in grado di uccidere un bambino è un soggetto per lo più impulsivo, determinato a far cessare in tempi brevi il problema utilizzando metodi alquanto materiali e repentini.

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