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Gioielli della Corona: i Savoia perdono la battaglia giudiziaria

Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta della famiglia Savoia di rientrare in possesso dei gioielli della Corona. Secondo i giudici, il tesoro è di proprietà dello Stato fin dai tempi dello Statuto Albertino, e tale rimane con la nascita della Repubblica. La Casa Reale, però, non si arrende e annuncia ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Savoia: i gioielli della casa reale appartengono allo Stato

La famiglia Savoia ha incassato una pesante sconfitta nella lunga battaglia per il possesso dei gioielli della Corona. Il Tribunale di Roma ha stabilito che i preziosi, da decenni custoditi in un caveau della Banca d’Italia, sono e restano di proprietà dello Stato italiano. Nelle motivazioni della sentenza, il giudice Mario Tanferna ha richiamato in causa lo Statuto Albertino del 1848, fondamento giuridico che già prevedeva l’attribuzione statale delle cosiddette “gioie della Corona del Regno d’Italia”.

Con la fine della monarchia e l’avvento della Repubblica il 2 giugno 1946, la natura pubblica di tali beni si è ulteriormente consolidata. Secondo il Tribunale, non sussiste alcun elemento per ritenere che i gioielli siano mai appartenuti alla sfera privata della famiglia reale. Si tratta, infatti, di beni simbolici, funzionali alla rappresentanza istituzionale della monarchia, e per questo esclusi dalla disponibilità personale del sovrano e dei suoi eredi.

Il giudice ha anche respinto l’argomentazione della difesa dei Savoia, che aveva citato un passo dei diari di Luigi Einaudi, allora governatore della Banca d’Italia, in cui i gioielli venivano definiti “cosa di famiglia”. Tuttavia, secondo il Tribunale, si tratta di una valutazione personale, priva di valore giuridico. Inoltre, nessuna prova è stata fornita per dimostrare che i figli di Re Umberto II potessero vantare un diritto patrimoniale su tali beni.

Un tesoro conteso da 78 anni

Il contenuto del celebre cofanetto con i preziosi della famiglia reale, custodito dalla Banca d’Italia dal 5 giugno 1946, rappresenta un tesoro di straordinario valore. Un totale di 6.732 brillanti e 2.000 perle, incastonati in diademi, collier, spille e orecchini. I preziosi furono consegnati al termine della Seconda guerra mondiale dal ministro della Real Casa, Falcone Lucifero, all’allora governatore Luigi Einaudi, su mandato dell’ultimo re d’Italia, Umberto II.

La questione relativa al valore economico del tesoro è tutt’ora oggetto di dibattito. Secondo le stime, basate sui criteri di Sotheby’s per i gioielli di provenienza regale, si potrebbe arrivare fino a 300 milioni di euro. Altre valutazioni più caute parlano invece di 18 milioni. Tuttavia, l’effettiva valutazione sarà possibile solo riaprendo il cofanetto, sigillato da ben 78 anni.

La reazione della famiglia Savoia e le prossime mosse

La Casa Reale, rappresentata dall’avvocato Sergio Orlandi, ha annunciato di non voler interrompere la battaglia legale. Dopo la sentenza sfavorevole in Italia, gli eredi Savoia intendono rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, con l’obiettivo di ottenere non solo la restituzione dei gioielli della Corona, ma anche il riconoscimento del diritto di rientrare in possesso di immobili storicamente appartenuti alla dinastia reale.

La questione, tuttavia, appare giuridicamente molto complessa. Ad oggi, nessun elemento probatorio ha dimostrato che i gioielli fossero parte del patrimonio personale della famiglia Savoia. Il verdetto del Tribunale di Roma ha rafforzato la linea della continuità giuridica tra Monarchia e Repubblica, almeno in relazione a questo patrimonio simbolico. Resta ora da vedere se e come la Corte di Strasburgo affronterà il caso, che si preannuncia di grande rilevanza sia storica che giuridica.

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