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Dalle intercettazioni telefoniche all’installazione dei trojan di Stato

Sempre più invasivo il controllo che lo Stato può effettuare sui cittadini grazie alle porte che si sono aperte con la nuova Riforma Penale approvata l’estate scorsa.

Fino ad ora il cittadino indagato poteva essere controllato in fase di indagini e su disposizione di un giudice attraverso l’intercettazione telefonica. Tuttavia la Riforma penale approvata a giugno 2017 prevede che sia lecito monitorare in modo completo il cellulare dell’indagato, grazie all’uso di un trojan, un vero e proprio virus informatico che una volta installato dà libero accesso ad ogni dispositivo elettronico: smartphone, pc e tablet.
Dispositivi ed applicazioni possono quindi essere soggetti ad un monitoraggio completo, dalle conversazioni social, alla rubrica, alla memoria con tutto il materiale memorizzato. Non solo: il trojan potrà accedere al microfono ed anche alla fotocamera, con accensione da remoto, fungere quindi da occhi ed orecchie di chi ha installato il trojan.
Inquirenti ed anche aziende private, a cui i giudici daranno l’incarico, avranno non solo libero accesso a tutti i dati dei dispositivi, ma potranno entrare nella vita della persona “pedinata” in modo invasivo e totale.
Non poche quindi le preoccupazioni sollevate e le contestazioni alla riforma, nata sull’onda del pericolo del terrorismo. Il fatto è che tale controllo potrà essere disposto da un giudice non solo in casi di crimini importanti, come appunto il terrorismo, crimini mafiosi o di natura grave e minatoria, bensì anche in caso di crimini minori. La preoccupazione maggiore, benché la legge sia assai rigida sull’utilizzo e l’uso delle informazioni reperite in fase di indagine, va all’utilizzo di eventuali agenzie private in corso di indagine.
Da garantire sarà non solo la privacy, ma anche i dati che durante un’incursione di trojan potrebbero venire modificati. A proposito delle modalità di applicazione della legge, gli avvocati hanno voluto esporre delle proteste.
Qui di seguito il testo della riforma in esame
“Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’articolo 1, commi 82, 83 e 84, lettere a), b), c), d) ed e), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 8 dell’11 gennaio scorso.
La riforma conferma il ruolo delle intercettazioni come fondamentale strumento di indagine e mira a creare un giusto equilibrio tra la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione e il diritto all’informazione.
Una nuova disciplina sui trojan horse, ovvero intercettazioni di comunicazioni o conversazioni mediante immissione di captatori informatici in dispositivi elettronici portatili. In particolare, si prevede che tali dispositivi non possano essere mantenuti attivi senza limiti di tempo o di spazio, ma debbano essere attivati da remoto secondo quanto previsto dal pubblico ministero nel proprio programma d’indagine e che, tra l’altro, debbano essere disattivati se l’intercettazione avviene in ambiente domiciliare, a meno che non vi sia prova che in tale ambito si stia svolgendo l’attività criminosa oggetto dell’indagine o che l’indagine stessa non riguardi i delitti più gravi, tra i quali mafia e terrorismo, di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del Codice di procedura penale.
di Katja Casagranda
© Riproduzione riservata

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