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Codici identificativi sulle divise delle forze dell’ordine, l’emendamento di Leu accende il dibattito

L’obiettivo è di facilitare l’identificazione degli agenti che dovessero rendersi responsabili di atti violenti. L’emendamento è stato ritenuto “inammissibile”, ma la proposta ha suscitato un acceso dibattito

Si torna a parlare di codici identificativi da apporre su caschi e uniformi delle forze dell’ordine. In questo caso la proposta è contenuta in un emendamento al decreto 130 in materia di Immigrazione e Sicurezza dal titolo: “Disposizioni in materia di identificazione del personale delle Forze di polizia in servizio di ordine pubblico” a firma dei deputati Nicola Fratoianni, Matteo Orfini, Erasmo Palazzotto, Fuasto Raciti, Giuditta Pini, Luca Rizzo Nervo, Chiara Gribaudo. Si legge nella proposta: “Il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, impegnati in attività di servizio di ordine pubblico, devono avere sull’uniforme e sul casco di protezione, sui due lati e sulla parte posteriore dello stesso, una sigla univoca che consenta l’identificazione dell’operatore che lo indossa”.

L’emendamento è stato ritenuto “inammissibile”, dunque non potrà essere approvato, ma la proposta ha suscitato un acceso dibattito e non poche polemiche.

A esternare parere negativo le forze dell’ordine che sono intervenute criticando la proposta. “Viene da chiedersi – ha affermato in una nota Valter Mazzetti, Segretario Generale Fsp Polizia di Stato – come si possa calpestare in maniera così brutale e arrogante il senso del dovere e di responsabilità che ancora porta migliaia di operatori per strada nonostante le storture e le ingiustizie che vengono riservate loro in ogni contesto. (…) È scandaloso. – Prosegue Mazzetti – Prima di parlare di codici alfanumerici per gli agenti, si pensi agli identificativi per i delinquenti che ogni giorno in tutta Italia si sentono liberi di aggredire, resistere, infamare chi porta la divisa, certi che sia una cosa del tutto normale, e certi di restare impuniti e, soprattutto, certi del sostegno ideologico di certi esponenti politici”.

Pronta la replica dell’onorevole Erasmo Palazzotto che in una nota ha sottolineato: “Quello che il Segretario Generale Fsp Polizia di Stato Valter Mazzetti fa finta di non capire è che il codice identificativo è uno strumento di tutela per i membri delle forze dell’ordine. Lasciare che chi sbaglia possa nascondersi dietro una divisa che lo accomuna alla stragrande maggioranza dei colleghi che fanno il loro lavoro è una forma di vigliaccheria che trascina tutti nel fango di pochi. Il codice identificativo rappresenta più sostegno, più protezione, più garanzie, più dignità per tutti gli operatori delle forze di polizia”. 

E anche qui la risposta di Mazzetti non è tardata ad arrivare: “Quello che il deputato fa finta di non capire è che la vera tutela per i membri delle forze dell’ordine passa per il riconoscimento, la condanna, la concretezza della pena per chi delinque aggredendole e il doveroso risarcimento del danno. La vera tutela per le forze dell’ordine sono telecamere sulle divise e norme molto più severe per chi aggredisce un operatore in divisa, lo offende, lo oltraggia. (…) In altri Paesi gli identificativi esistono perché le forze dell’ordine sono ampiamente tutelate e se si tocca un agente si finisce in galera senza se e senza ma, e nemmeno in maniera poi tanto garbata come avviene in Italia”.

Ma come funziona quindi nel resto d’Europa? Su 28 stati membri, 20 hanno deciso di introdurre i codici identificativi sulle uniformi della polizia, anche se con modalità e regole differenti. I Paesi sono: Belgio, Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia e Spagna. C’è poi la Germania dove la normativa è valida in nove regioni su 16. L’obbligo di identificazione per la polizia federale infatti non esiste, ma c’è per alcuni corpi di polizia regionali. Ungheria e Svezia non prevedono un obbligo, eppure gli agenti di polizia espongono nome, carta d’identità e grado sull’uniforme e un codice quando indossano equipaggiamento speciale. Restano esclusi, quindi, Austria, Cipro, Italia, Lussemburgo e Olanda.

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