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Cassazione: il “mi piace” su un post non è stalking

La Cassazione ha condannato un uomo che dopo anni di carcere per stalking si era nuovamente palesato alla vittima con un like su Facebook

Un like su Facebook non è da considerarsi stalking. Tuttavia, se gli atti persecutori e le minacce continuano, sì. Di recente la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26456/2022, è tornata sul tema dello stalking, e in particolare sul rapporto tra stalking e social network. Sempre più spesso, infatti, i molestatori perseguitano le proprie vittime online, in chat oppure nei commenti ai post.

È il caso di una giovane donna che ha sporto denuncia nei confronti di un uomo, reo di aver messo un like ad una sua foto. Ma non si tratta di un like qualsiasi. L’uomo, infatti, era una persona conosciuta, che in passato aveva perseguitato la donna (allora quindicenne) tanto da indurla al suicidio. Per questo comportamento era stato condannato a quattro anni di reclusione. Uscito dal carcere, era tornato sulle tracce della ragazza. È bastato un semplice “mi piace”, e una richiesta di amicizia, per far riemergere nella donna la sensazione di terrore provata anni indietro.

La Corte di Cassazione ha condannato l’imputato, tuttavia ha sottolineato che il like da solo non basta per far scattare lo stalking. Questo reato non può essere rintracciato in un singolo episodio (per quanto grave), ma presuppone un comportamento reiterato nel tempo, in grado di procurare nella parte offesa uno stato d’ansia e di paura perenne, che nei casi più gravi sfocia nel timore per la propria, o altrui, incolumità.

Nel caso di specie, dopo essere uscito dal carcere l’uomo aveva ripreso a perseguitare e molestare la donna anche sui social. Secondo la Corte Suprema, comportamenti quali l’invio continuo di messaggi, oppure commenti a post e foto su Facebook e Instagram “contribuiscono a creare un clima intimidatorio ed ostile, idoneo a compromettere la serenità della vittima e a configurare il reato di stalking”.

Un’altra sentenza della Cassazione ha visto la condanna di un uomo che pubblicava continuamente sui social la foto della propria ex. Tale condotta ha generato “un’indebita ingerenza o interferenza nella vita privata e relazionale della persona perseguitata”, alimentando uno stato di soggezione e di paura.

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