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Carcere, maternità e difficoltà. Intervista alla dottoressa Maria Esposito

Madri e detenute transgender. Diffidenza e paura di crescere in un ambiente diverso, freddo e poco accogliente

Sempre più donne si trovano a scontare la loro pena in strutture detentive in stato interessante o con figli da crescere. Il 21 Aprile del 2011 il Parlamento ha approvato la Legge n. 62 dal Titolo “Detenute Madri” con la quale ha inteso valorizzare il rapporto tra detenute madri e figli minori, introducendo la novità degli ICAM e delle Case Famiglia Protette. Un’altra categoria che merita una riflessione riguarda le detenute transgender. Come vivono questo delicato momento? Un argomento controverso approfondito con la Dottoressa Maria Esposito psicologa, sessuologa ed esperta di devianza, con l’obiettivo di schiudere una cauta riflessione.

Dottoressa Esposito partirei dal binomio maternità-detenzione. Come è vissuta questa dimensione all’interno del carcere considerando il delicato “legame di attaccamento” che si crea tra madre e figlio nei primi mesi di vita?

Il carcere, come si può immaginare, non è il luogo ideale per far crescere un bambino, soprattutto nella fascia 0-3 anni, quella in cui le esperienze vissute restano maggiormente impresse. L’ordinamento penitenziario prevede che una detenuta che diventi madre durante la carcerazione o nel momento in cui entra in carcere abbia un figlio al di sotto dei 3 anni, possa portare con sé lo stesso e tenerlo fino al compimento del terzo anno di vita. Il tipo di legame che si instaura tra una madre e il proprio bambino in ambito detentivo è di tipo disorganizzato: la madre tende a essere sia autoritaria, per riaffermare il suo ruolo genitoriale (limitato ed esercitato in gran parte dagli agenti di Polizia Penitenziaria), sia permissiva, per alleviare il senso di colpa derivante dalla condizione da entrambi esperita. La deprivazione della figura paterna e maschile in generale comporta problematiche importanti come bassa autostima, insuccesso scolastico, difficoltà nell’ambito della sessualità e dell’identità di genere, comportamenti antisociali.

Esiste un possibile rischio di devianza nei bambini che hanno affrontato i primi anni di vita in un contesto carcerario?

Assolutamente sì. Una buona percentuale di bambini che ha vissuto l’esperienza del carcere nella primissima infanzia si ritrova a compiere atti devianti o criminali già in adolescenza. Questo perché, come diceva Winnicott, la primissima infanzia è strettamente dipendente dalle esperienze vissute, che restano fissate nella propria mente per tutto il resto della vita. Inoltre, la forte compromissione di molte sfere del Sé e la deprivazione della figura maschile comportano lo sviluppo di comportamenti antisociali che sono la base della probabilità di delinquere del bambino che poi diventerà adulto.

Un’altra categoria vittima di aggressioni e derisioni riguarda le detenute transgender. Quale è oggi la condizione di queste donne?

Le carceri italiane mostrano diverse criticità in questo senso. Innanzitutto premetto che il o la transgender sono persone che non hanno completato la transizione di genere e non hanno fatto ricorso agli interventi chirurgici, quindi non hanno cambiato completamente identità anche a livello legale. Hanno fatto esclusivamente ricorso alle terapie mediche a base di ormoni per modificare esteriormente il proprio aspetto ma a livello biologico appartengono ancora al sesso di nascita. Ho fatto questa premessa perché in Italia non esistono sezioni esclusive per i transgender quindi un uomo che ha assunto una terapia ormonale ed esteriormente è donna, ma biologicamente e legalmente è uomo, in carcere viene collocato con gli uomini. Stessa cosa dicesi per il passaggio inverso. Questo può essere motivo di aggressione verbale e fisica da parte degli altri detenuti. Infatti, tra i transgender c’è un’alta percentuale di auto ed etero aggressioni, oltre emarginazione e isolamento. Nelle carceri italiane non è prevista nemmeno la distribuzione gratuita delle terapie ormonali che devono assumere regolarmente. Ad oggi la maggior parte della popolazione carceraria transgender è fatta di sudamericane condannate soprattutto per spaccio e prostituzione. Molto più rare le condanne per omicidio o altri reati violenti, principalmente appartenenti alla categoria male to female, ovvero uomini che diventano donne.

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