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Autopsia psicologica

Autopsia psicologica e morte equivoca

La tecnica forense volta ad analizzare lo stato mentale e il vissuto psico-sociale di una persona per fare chiarezza nei casi di morte per suicidio, omicidio o incidente

Nella nostra cultura, il quesito giuridico più rilevante in ambito penale è la ricostruzione dei fatti, tanto è vero che quando una sentenza passa in giudicato si osserveranno delle discrepanze più o meno rilevanti tra verità storica e verità giudiziaria. Pertanto lo sforzo dei giudici sarà indirizzato a rendere minima questa divergenza. Può quindi avvenire che nascano dei sospetti sulle modalità che hanno portato al decesso una persona, specialmente in episodi di suicidio quando risulta più complicato comprendere le cause che abbiano condotto una persona ad un comportamento così estremo, le cosiddette “morti equivoche”.

I primi psicologi ad occuparsene, negli anni ’60 del secolo furono gli americani Shneidman, padre della suicidologia e Farberow. Venne creato un metodo che poi divenne l’autopsia psicologica, indicandola come una ricostruzione retrospettiva dello stato mentale e del vissuto psico-sociale di una persona in grado di riconoscere aspetti che ne rivelino i propositi di togliersi la vita, e chiarire perché il decesso sia avvenuto in quel particolare momento della sua vita oppure della sua scomparsa senza essere più ritrovata. Questa si compie sia in ambito forense sia investigativo ed è la conseguenza di un’attività e di analisi multidisciplinari, che vede coinvolte diverse figure professionali quali psicologi, criminologi, medici legali e grafologi.

Shneidman negli anni settanta perfezionò il modello composto da sedici parti essenziali riguardanti la vita della vittima, una sorta di timeline dell’ultimo periodo della sua esistenza fino alle cause e modalità del decesso, tra cui la presenza di atti suicidari in famiglia, presenza di patologie importanti, cambiamenti dello stile di vita della vittima, tensioni e conflitti con un profilo della storia famigliare, qualità delle relazioni interpersonali, valutazione dell’uso eventuale di alcool e droghe, presenza nel deceduto di pensieri e fantasie relative alla visione della vita e alla ideazione suicidaria e l’intervista a parenti oltre che ai famigliari, amici, medico curante e colleghi di lavoro valutando la loro reazione e relazione in merito alla morte della vittima.

Shneidman precisò che tale metodo di colloquio aveva anche una funzione di supporto emotivo oltre che una grande valenza di ascolto, e inoltre precisando che le parti del protocollo erano da intendersi come linee guida anziché rigide domande strutturate.

Proprio per questo come accadde per l’offender profiling furono mosse all’autopsia psicologica alcune critiche, la più consueta fu l’assenza di procedure standard, non esisteva un modello che garantiva l’affidabilità e la validità del metodo.

Nei casi di suicidio, l’autopsia psicologica è finalizzata come abbiamo visto alla ricostruzione di un profilo comportamentale del suicida per accertare le cause del decesso. Può rilevarsi determinante nel discrimine tra tentato suicidio (a scopo dimostrativo) o mancato suicidio. Oppure se si è in presenza di istigazione al suicidio. L’autopsia psicologica è quindi una tecnica mirata per determinare la correlazione tra fattori di rischio e suicidio.

Anche in presenza di omicidio si è rilevata utile per costruire un profilo comportamentale dell’omicida, la vittimologia ha evidenziato che la probabilità che una persona divenga vittima di un reato non è casuale, ma legata alle sue caratteristiche biologiche, sociali e psicologiche, e intuire il suo ruolo nella dinamica del reato.

Morte accidentale, l’autopsia psicologica può essere d’aiuto per comprendere se un incidente domestico non sia un omicidio mascherato, oppure un suicidio dissimulato dai parenti per benefici assicurativi, oppure in presenza di incidenti stradali la vittima abbia avuto un ruolo perché ha assunto farmaci e droghe o si è intenzionalmente gettata sotto il veicolo.

Anche in ambito civile, l’autopsia psicologica trova applicazione, come in presenza di testamenti, oppure in presenza di persone scomparse, dove informazioni della persona possono indicare le cause che lo hanno portato ad allontanarsi.

Il colloquio, secondo alcuni esperti, andrebbe fatto da uno a sei mesi dopo l’evento, per non trovarsi a gestire un carico emotivo data la vicinanza del lutto che implicherebbe il rischio di avere un risultato compromesso da valutazioni non corrispondenti alla realtà e non superiore ai sei mesi per ottenere ricordi i più precisi possibili.

Anche la scelta di chi intervistare è fondamentale. Il tutto deve sempre avvenire rispettando i principi etici che la situazione richiede.

Esistono diversi protocolli di autopsia psicologica, come il MAPI cubano, il modello dell’esercito USA e quello utilizzato dal Naval Criminal Investigative Service ognuno con caratteristiche proprie.

In Italia si deve al Prof. Gaetano De Leo, elaborando gli apporti di Shneidman e Farberow ha portato uno sviluppo delle caratteristiche del reo oltre alla vulnerabilità della vittima.

Nel panorama italiano, ma anche europeo nondimeno questa metodologia che come abbiamo visto trova ancora oggi una limitata diffusione sia per mancanza di protocolli standardizzati che di una corposa letteratura scientifica.

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