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APIS: cambio ai vertici, Alessandro Cascio eletto Presidente

L’Investigatore Privato visto e analizzato dal neo Presidente

Il primo agosto sono state rinnovate le cariche dell’Associazione Professionale Investigazioni e Sicurezza – APIS: Alessandro Cascio, già Segretario Nazionale, è stato eletto Presidente.
A lui rivolgiamo alcune domande per farci svelare i suoi punti di vista sul ruolo e la professione dell’Investigatore Privato.

Secondo lei quella dell’investigatore privato è da considerarsi una professione intellettuale?
La legge determina le professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione ad appositi albi o elenchi, quanto meno secondo una definizione della dottrina tradizionale. L’investigatore privato – notoriamente – non è mai stato incluso, per ragioni discutibili, tra i 28 ordini e collegi professionali esistenti in Italia e non è iscritto – pertanto – in alcun albo, tuttavia si deve dotare di una licenza o autorizzazione rilasciata dalle prefetture.

Quindi come potremmo classificare detta professione?
La Legge n. 4 del 14 gennaio 2013, in vigore dal 10 febbraio ’14, sulle professioni non regolamentate (o non ordinistiche), potrebbe offrire una risposta a questo enigma poiché riguarda tutte quelle professioni non organizzate in ordini o collegi, seppure alcuni si oppongono a questa evidenza. La norma in questione introduce – inoltre – le ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI, assoluta novità nell’ordinamento giuridico italiano.

E che cosa sono esattamente questo genere di associazioni?
La funzione che viene assegnata dalla norma in questione alle ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI, vigilate dal Ministero dello Sviluppo Economico, è del tutto analoga e assimilabile a quella svolta dagli ALBI per le professioni regolamentate, ossia di garantire al cittadino le competenze e la professionalità dei propri iscritti, reprimendo o limitando gli abusi e le mancanze di cui i tesserati si rendessero colpevoli nell'esercizio della professione, nonché si prendono cura del continuo aggiornamento della loro competenza professionale attraverso la formazione continua. Tale incombenza può essere adempiuta anche con la certificazione del professionista secondo le norme codificate da un organismo terzo indipendente, tipo l’UNI. Infine questo tipo di sodalizio rende obsolete le “associazioni di categoria” legate a normative meno stringenti. Questi i tratti essenziali.

Quali sono le conseguenze possibili se l’investigatore privato venisse assimilato in questa normativa?
Il vantaggio è duplice. Il professionista, anche se non ha alcun obbligo di aderire alle ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI, verrebbe stimolato a conseguire una certificazione UNI (per ora allo studio per gli investigatori privati) e manterrebbe lo standard della propria formazione assai più elevato rispetto ai soli obblighi previsti dal D.M. 269/10, situazione congeniale ai detective che desiderano distinguersi conquistando una sorta di “bollino blu” da esibire e di cui essere orgogliosi. Si è – inoltre – obbligati ad agire sempre in ottemperanza alla legge 4 del 14 gennaio 2013 con condizionamenti positivi per il mercato.
Per la committenza ci sono – infatti – maggiori garanzie di potersi rivolgere ad un professionista certamente qualificato e di poter contare su una mediazione stragiudiziale nel caso dovesse rimanere insoddisfatto delle sue prestazioni.
Tutto ciò non è poco e – mi ripeto – e del tutto analogo all’appartenere ad un “ordine professionale” in cui l’osservanza di una determinata deontologia è alla base di tutto.

La riforma conseguente all’applicazione del D.M. 269/’10 non offre già sufficienti garanzie alla committenza?
Questo sarà vero qualora andranno in pensione tutti gli investigatori privati (circa 3.000) che hanno acquisito la licenza secondo le regole del vecchio ordinamento. Mi spiego meglio. Il cliente non può sapere se si trova al cospetto di un neo laureato con un triennio effettivo di tirocinio alle spalle o di un soggetto che può non avere alcun titolo di studio e la cui esperienza pratica è stata giudicata discrezionalmente dalle prefetture locali. I corsi di aggiornamento e perfezionamento furono solo un palliativo per mettere tutti dentro lo stesso calderone ed è imbarazzante e discriminatorio per gli investigatori privati della nuova generazione, ossia coloro che hanno ottenuto il “titolo di polizia” dopo il 2010. La riforma non è stata in grado di tutelare adeguatamente il consumatore ed è una pecca gravissima, imputabile a interessi lobbistici.

Ora che è alla guida dell’APIS cosa intende fare?
Dopo tre anni di “rodaggio” quale segretario nazionale mi sento pronto a condurre l’associazione verso l’accreditamento ministeriale come “associazione professionale” a tutti gli effetti. Per ottenere questa condizione abbiamo bisogno di incrementare ulteriormente il numero dei nostri associati. 
Vorrei accogliere tutti i professionisti che desiderano sostenere i nostri PROGETTI o realizzarne di nuovi nell’interesse delle categorie da noi rappresentate, non solo gli investigatori privati ma anche tutti i soggetti dediti alla security. La novità assoluta è che daremo anche spazio a tutti coloro che si occupano di PROTEZIONE CIVILE.
Le associazioni non vanno confuse per SINDACATI i quali hanno il dovere di fare gli interessi economici dei loro tesserati ed è questo l’errore principale commesso da chi si avvicina ai sodalizi con aspettative sbagliate.

Sono anche contrario a promuovere battaglie volte all’ottenimento di vantaggi fittizi come il “tesserino” promesso dal Ministero e mai consegnato agli addetti ai lavori, strumento privo di qualsiasi utilità concreta. Semmai è più utile il rilascio della “tessera elettronica europea” a favore dell’investigatore privato italiano, in particolare per coloro che intendono operare anche fuori dai confini nazionali.

Qual è la sua posizione nei riguardi dell’abusivismo?
È il gran frastuono che fanno gli incompetenti e i perditempo, ossia si tratta di un falso problema.

Ci potrebbe spiegare meglio?
Se un DETECTIVE immagina che un cialtrone possa sottrarre lui opportunità di guadagno si sottovaluta come professionista o come imprenditore. L’abusivo – nella maggior parte dei casi – non può andare oltre qualche sporadico caso di infedeltà acquisito tra le cerchie dei propri amici e conoscenti e non potrà mai dare visibilità alla sua attività che resta clandestina.

Oggi gli spazi di manovra più interessanti sono – semmai – nelle mani dei cosiddetti CRIMINOGI che legittimano la loro attività, destinata ad implementarsi in futuro, come Consulenti Tecnici d’Ufficio (C.T.U.) o Consulenti Tecnici di Parte (C.T.P.) o PERITI.
Si può operare in ambito investigativo attraverso vari titoli insomma, dal counseling all’agenzia d’affari e tracciare i confini dell’abusivismo resta, in questi meandri, un compito piuttosto arduo e a mio giudizio una fatica inutile.

Continuo a sostenere che la professione dell’investigatore privato andrebbe LIBERALIZZATA in quanto la licenza è solo un’inutile orpello per i professionisti del settore e – ancora una volta – le ASSOCIAZIONI PROFESSIONALI, se opportunamente gestite e controllate, possono essere una garanzia più che sufficiente a tutela del cittadino e possono esercitare tranquillamente le funzioni demandate – in oggi – alle prefetture.

Ritengo sia questa la strada migliore. Solo chi non ha competenze certe può temere la concorrenza non qualificata di un neofita che si affaccia sul mercato e si improvvisa investigatore privato o – comunque – di un incompetente.

Se un cliente si rivolge a un abusivo e rimane insoddisfatto se lo merita e la nomea degli investigatori privati resta illibata ma se un consumatore si rivolge a un detective autorizzato e resta deluso ne soffre la reputazione di tutta la categoria. Io mi preoccuperei molto di più dei danni conseguenti alla seconda ipotesi.

Quale consiglio vorrebbe dare ai giovani che si vogliono avvicinare a questa professione?
Spendete poche risorse per imparare come ci si comporta nella “scena di un crimine” e investite quanto più possibile nell’acquisire come si diventa buoni imprenditori perché un’agenzia investigativa è un’azienda che sopravvive solo se riceve incarichi o acquisisce appalti e la figura centrale è il “procacciatore d’affari”, non il profiler!

Le possibilità di successo – voglio dire – saranno proporzionate più alle capacità imprenditoriali del TITOLARE che alle sue qualità investigative. Tra l’altro, avendone le risorse economiche, le proprie lacune professionali possono essere sopperite con l’introduzione nel proprio team di soggetti capaci. Dimenticatevi di poter fare tutto da soli o di potervi occupare di qualsiasi indagine. Affidatevi a una équipe di esperti.

di Clementina Mori
© Riproduzione riservata

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