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Alberto Genovese: se l’onnipotenza porta al crimine

La droga è la risposta più facile per gli stupri commessi, ma è solo l’ultimo anello di una catena che parte da lontano e con cui l’imputato prima o poi dovrà fare i conti.

Sempre la stessa risposta.

Quando avvengono casi come quello di Alberto Genovese, condannato in via definitiva per gli stupri commessi nella sua casa milanese e a Ibiza su due ragazze rese incoscienti dalla droga nel 2020, si assiste generalmente a questa risposta da parte dell’imputato: non ero io, era la droga. Oppure: non ero io, ero sua succube. Guarda caso, le risposte che hanno dato Genovese e la sua ex fidanzata Sarah Borruso, anch’essa condannata in primo grado. Guarda caso, le stesse risposte che dettero Manuel Foffo e Marco Prato dopo aver ucciso Luca Varani. Nessuno dei 4 imputati ha negato le proprie responsabilità (del resto, innegabili viste le prove) ma tutti hanno cercato di sminuire la propria colpa. Chi scrive non è la persona più adatta per valutare questa situazione dal punto di vista penale e procedurale, piuttosto mi interessa qualcos’altro. Mi interessa che, per quanto drogato fosse, nel filmato di una delle sue violenze è lucido e ben consapevole di ciò che fa. E pronto a rivederle, riviverle.

Cosa ha portato Genovese fino allo stupro?

Quale abisso si è allora spalancato sotto i suoi piedi? Proviamo a vedere la droga e i soldi come degli slatentizzatori di qualcosa che era dentro di lui in quel momento. Mi chiamo Alberto Genovese e ho la forza dei miei scatenati 40 anni. Mi chiamo Alberto Genovese e sono un imprenditore di successo, con attico e soldi a palate. Sono stato 5 anni in McKinsey, poi in Bain e nel 2015 in eBay. Ho fondato Facile.it nel 2010 e nel 2014 Prima assicurazioni, un modello per chi vuole fare start-up. Mi chiamo Alberto Genovese, ho 100 milioni in banca, una casa di 300 metri quadri e organizzo delle feste che lèvati. Mi chiamo Alberto Genovese e posso comprare tutta la droga che voglio. Mi chiamo Alberto Genovese e sono potente. Mi piace il sesso estremo. Mi piacciono le ragazze giovani e magrissime. Alle mie serate si lascia il cellulare all’ingresso, così nessuno filma niente e amen. Che la festa cominci.

Potente? Onnipotente.

Prendi uno che ha studiato duro in Bocconi, Economia aziendale e poi il Master in Business Administration. Uno che crea un impero. Come non pensare che si sia sentito onnipotente? Come non pensarlo, quando si era messo nelle condizioni di esserlo? Quando puoi decidere su due piedi di fare serata a Parigi e partire con l’aereo privato, puoi tutto. Quelle feste a casa sua erano piene di gente che ci andava solo perché sapeva di trovare droga gratis e gente giusta, importante. Genovese aveva creato un meccanismo perfetto: una festa così era fatta apposta per attirare ragazze che, dopo essersi intontite per bene, non erano più capaci di dire di no. Ed è qui che l’onnipotenza di Genovese diventava forse debolezza assoluta: perché se hai bisogno di impasticcare una ragazza per averla, non devi essere molto sicuro delle tue capacità. Oppure lo sei, ma stai solo provando un brivido nuovo, quello di possedere una bambola. Quello di poterle fare ciò che vuoi.

Cose nascoste nella mente.

Tutto quello che aveva attorno diceva a Genovese che poteva fare tutto, realizzare anche le fantasie più perverse. Cose che erano nascoste in un angolo della sua mente, dietro l’educazione ricevuta da mamma e papà, dietro i “non si fa”, dietro la paura delle conseguenze. Ecco, quello che è successo in questo caso, semplificando molto, è frutto di un’onnipotenza derivata da soldi & successo. Quando hai il mondo in mano, se non sei davvero solido moralmente, se non riesci a tenere a bada il tuo sadismo, se non hai empatia, allora puoi cadere; ci vuole poco. Puoi desiderare tutto e avere tutto, pensando che il prezzo da pagare sarà niente, vivendo dentro una nebbia che ti fa pensare che in fondo sarà molto divertente. Sarà molto liberatorio, avere tutte quelle bambine ubbidienti. Ancor oggi, di fronte al Gup, Genovese si è dimostrato pentito della sua vita passata, di quanto si stava buttando via, delle persone false che aveva intorno, ma non di ciò che ha fatto alle ragazze. Non ha chiesto scusa. Ha parlato di sé, non di loro. Loro due non esistono ancora, sono le bambine disubbidienti che lo hanno trascinato fin lì. Anzi, erano consenzienti. Ma anche ammesso che all’inizio lo fossero, le immagini delle telecamere provano che poi una di loro non lo era affatto, quando arrivò il dolore. E oltre la porta un tizio muscoloso impediva a chiunque di entrare. E lui lo sapeva, tanto da chiedere a un amico di cancellare quei file.

Se fosse successo a voi?

Chi legge questo articolo forse si sente al sicuro, ma con gli stessi soldi in banca, la stessa terrazza, lo stesso delirio, la stessa vita vincente, sareste riusciti a mantenere la barra al centro o sareste naufragati come lui? In fondo, non è così facile ottenere quel successo, ma non nemmeno è così difficile perdersi in quel successo.

Foto di Mika Baumeister su Unsplash

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